“non è tempo per il Messia”, di Carmen Moscariello, letto da Dante Maffìa
Prima che un libro di caratura spirituale, non è tempo per il Messia (Napoli, Guida, 2012, pp. 60, Euro 9) è il libro delle agnizioni e degli affetti di Carmen Moscariello che ci accompagna a “fare visita”, mi viene da dire, agli amici e perfino alla figlia Lara. È attraverso queste visite che Dio s’incarna nel rapporto e rende ogni cosa un dono a cui bisogna abbeverarsi per trovare la conoscenza e la saggezza, la parola magica che dipana il senso primo e ultimo dell’essere.
La Moscariello è un’intellettuale solida che ha versato a piene mani la sua cultura, la sua intelligenza e la sua sensibilità nella poesia, nella prosa, nel teatro, nella critica letteraria senza mai lasciare da parte il suo rigore etico, forse per questo le sue opere restano esemplari e continuano a ribadire la sapienzialità “interrogata e saggiata liturgicamente e per assunzioni concettuali”, come ci spiega nella sua bella Prefazione Ugo Piscopo. Tuttavia questo impegno programmatico non inficia per nulla il dettato poetico, anzi gli dà quella coerenza necessaria per poter entrare nella profondità di un’anima che sa innestarsi alla liricità con affabulazione, che sa interpretare addirittura la “Passione” dimostrando che la Bibbia non è una fonte inerte, ma un rinnovarsi continuo di processi che ogni volta hanno ragioni diverse e che sanno adeguarsi al presente. Questo fa capire che bisogna leggere Carmen Moscariello con la massima attenzione, senza lasciarsi prendere dalla fretta, in modo che ogni verso possa diventare occasione per rimetterci in gioco, stavo per dire occasione per confessarci. Perché la poetessa si pone dentro la parola, non la sfiora, anzi ne fa lo strumento, ma semplice, sempre legato all’idea di verità, per racchiudere in un giardino ideale ciò che fugge rapido, ciò che svicola o si nasconde.
Carmen Moscariello conosce il valore delle piccole cose quotidiane, sa perfettamente che da queste poi scaturiscono le Piramidi e il Colosseo, la “Commedia” e “Il Paradiso Perduto”, per fare qualche esempio, e la poesia “ciottoli” ne è una dimostrazione lampante:
“Se penso al bene di vivere
penso alla madia piena che cresce il pane nella notte
all’acqua che nutre il pane
alla vita che seminò nell’acqua
interrogo Dio
sul dolore delle guerre
Sàul trafitto dall’invidia
invano pietà
chiese al buon Dio”.
Evidente, mi pare, che la sua parola non è supina e non si contenta di assuefarsi pedissequamente ai comandamenti: vuole capire, indagare, confrontare e lo fa senza mai diventare blasfema, ma con rigore, per non soffocare nell’incertezza, nel dubbio, nella genericità. Una poesia così densa e corroborata da radici spirituali di alto livello va a collocarsi in una situazione che va oltre le istanze di Margherita Guidacci, di Elena Bono, di David Maria Turoldo, di Luciano Luisi e di Alberto Frattini, perché non è soltanto preghiera, ma lotta, desiderio di capire per aderire con maggiore pulsazione, con abbandono totale.
Ovviamente le tematiche che Carmen Moscariello mette sul tappeto in questo piccolo volume, ma che pesa tanto! sono espresse con un linguaggio magistrale, con una sintesi di rara fattura e con una adesione formale ormai rara tra i poeti. E ciò la dice lunga sulla formazione della poetessa, sulla inquietudine del suo laboratorio.
Dante Maffìa