Il profetico senso della vita nella Poesia di
Amelia Rosselli
Nell’ampio verso e nei ritmi
dell’endecasillabo si muove il visionario e profetico senso della vita di
Amelia Rosselli. Una polifonia, un ampio doloroso respiro sul suo destino
segnato, ancor prima che nascesse, poiché legato a una famiglia, quella dei
Rosselli, che fa parte di diritto della storia liberale e democratica del
nostro Paese. Sappiamo che prese parte a tutti e quattro gli incontri del
Gruppo 63 e di averli trovati alquanto ripetitivi, non congeniali al suo modo
di intendere la poesia. È assente quel tecnicismo dal mondo visionario e per
certi aspetti violento che riguarda la Rosselli: improvvisi versi esplosivi,
una volontà di potenza e di orrore. Non appartiene alla Rosselli la fragilità
della quale molti critici parlano (il suo destino è pervaso, piuttosto, dalla
lotta contro la fragilità); il suo percorso vitae è molto più complesso, le
profezie dolorose vissute dai suoi versi rendono la sua vita e la sua scrittura
una intricata analisi anche di molti aspetti della storia del Novecento. A una
lettura superficiale di molte sue opere si può dire che il suo linguaggio è
ermetico, incomprensibile, un trobar clus: per certi aspetti la sua scrittura
fa pensare a una trobairitz, sprezzante, ironica, aspra, suscettibile, oscura;
a una erede della lingua d’oc, ma la sua linea di studi è molto più complessa.
Per comprenderla davvero bisogna abbandonare la linea del lapsus, niente nella
vita e nella scrittura della Rosselli è involontario, anche l’involontario
trova una categoria di ordine strutturale ben studiato e architettato. Studiosa
di molte letterature, eccellente traduttrice di molti poeti inglesi e francesi,
appassionata di teatro, lettrice di Faulkner, Bergson, di Pascal, scriveva e
parlava il francese (la lingua della sua infanzia), l’inglese (la lingua di sua
madre e anche la sua per aver soggiornato lungamente in Inghilterra e in
America) e infine l’italiano, la lingua di suo padre e di sua nonna Amelia
Rosselli, donna colta e raffinata letterata e a sua volta scrittrice. Amelia
scelse l’italiano per la sua poesia, ma diede a questa lingua un vigore quasi
sconosciuto, una timbrica a volte inebriata e inebriante. Non fu semplicemente
innovativa, ma sperimentò per suo conto una lingua tria corda che potesse
esprimere la complessità del suo sentire primordiale. Il suo verso tessuto
dalle assonanze, da strumentali afasie, da gorgoglii, dagli studi musicali
(pianoforte e violino) che avevano occupato trent’anni della sua vita, 21
determinano una novità, un rifugio in strutture antropologiche che adattano il
verso al suo sentire; dedica ad esso molta cura, ma rimane il fluido sgorgante,
impetuoso, sincero, originale. Spesso i versi si presentano come un contorcersi
di suoni o grida che lacerano. Amelia Rosselli è un grande poeta antiermetico,
autrice che ha scelto una sperimentazione inesausta, del tutto originale e
autonoma, frutto di un acceso e appassionato immaginario, di ampi studi
letterari e musicali, di scavo psicoanalitico, di una razionalità coniugata
all’irrazionale “urgente” e proliferante . La libellula assetata di luce, rimette insieme
gli innumerevoli frammenti esistenziali per creare una poetica di prim’ordine,
si inerpica la parola in gole senza ossigeno, nel dérèglement avaro e ironico.
Il verso volge in anamnesi dell’assurdo, insofferente, primitivo,
sgrammaticato, turbolento. Amelia Rosselli è un caso unico nella poesia
italiana. Carlo Rosselli, Rocco Scotellaro, Pier Paolo Pasolini, Niccolò Gallo,
Dino Campana, Antonio Porta sono nomi che entrano a far parte di diritto nella
vita di Amelia Rosselli. Vivente leggenda di incarnazione della poesia come
incontenibile forza oracolare. Nata nel 1930 a Parigi dove la famiglia si
era rifugiata per sfuggire alle persecuzioni politiche del fascismo, dovette
ben presto(immediatamente dopo l’assassinio del padre) lasciare questa città
per trovare rifugio prima in Inghilterra e poi in America (1940); qui per
sopravvivere svolse anche lavori molto umili. Un episodio importante della sua
vita è l’incontro con Rocco Scotellaro, lo conobbe a Venezia nel 1950, durante
un congresso partigiano. Il fatto è raccontato in Diario oscuro, pubblicato
dalla rivista “Braci”. La poetessa lo ricorda ancora in un’intervista
rilasciata a Giacinto Spagnoletti; dice: Quando conobbi Rocco, avevo vent’anni
e lui morì tre anni dopo. La nostra fu un’amicizia intensa, molto ricca e
naturale, priva di forzature. Mi invitò al suo paese in Lucania, dove stetti
una settimana sua ospite e conobbi sua madre. A Pasolini deve la presentazione
della sua poesia al grande pubblico e al poeta deve anche
un’attenta analisi critica della sua poesia, che si incentra sul concetto di
lapsus, all’uso speciale che la Rosselli
fa della parola poetica e del singolare ruolo di consonanti e vocali. Pasolini
disse che il lapsus ora finto, ora vero rappresentava una profonda liberazione.
Il lapsus consente alla buonora, di liberarsi del peso istituzionale – gravante
su tutta la lunghezza dell’anima – e, nel tempo stesso, di rispettarlo. Non c’è
molto in forma di lapsus che sia tanto cinico, feroce, ironico, sprezzante che
non includa un sostanziale rispetto per la lingua e la istituzione d’uso. E, se
mai ve ne fu, la tipica negatività che afferma. Il fondo del libro della
Rosselli – sono riuscito a dirlo, malgrado il suo totale rifiuto, la sua
pazzesca coerenza che lo salda da tutte le parti come un molle fortilizio – è
la grande cultura liberale europea del Novecento. E lo è con uno splendore del
tutto eccezionale. Direi che non mi sono mai imbattuto, in questi anni, in un
prodotto del genere, così potentemente amorfo, così oggettivamente superbo .
Per la poetessa la sua particolarissima grammatica poetica consiste nelle varie
possibili formulazioni metriche, mai abbastanza rigorose, da potersi
considerare come sistemi filosofici scientifici e storicamente necessari,
inevitabili. La poetessa-musicista risente del pentagramma musicale, creando
una tecnica che studiata nei particolari s’insedia di prepotenza in tutta la
sua opera con vitalità e vigore, a volte con irrazionale casuale violenza,
dando vita ad una poesia assolutamente vera e ispirata. Il Mito
dell’Irrazionalità (mettiamoci le maiuscole) ha, con le poesie di Amelia
Rosselli, negli anni sessanta, il suo prodotto migliore: lussureggiante oasi
fiorita con la stupefacente e, casuale violenza del dato di fatto, ai margini
del dominio. E il revival avanguardistico – così tetro presso gli eterni
apprendisti di Milano e Torino – ha trovato in questa specie di apolide dalle
grandi tradizioni famigliari di Cosmpopulis, un terreno dove esplodere con la funesta
e meravigliosa fecondità dei funghi atomici, nell’atto in cui divengono forme.
Oltre i limiti del risguardo non vado. E aggiungo che il tema dei lapsus è un
piccola tema secondario e irrisorio, rispetto ai grandi temi delle Nevrosi e
del Mistero che percorrono il corpo di queste poesie: è solo un filo che ho
seguito per poter produrre qualche effato su questo splendido testo. I suoi particolari usi sintattici, le
sgrammaticature, il lapsus di cui diceva Pasolini, il verso chiuso, la forma
cupa l’apolide li chiarisce nello scritto Spazi metrici (1962). Nel dérèglement
sono incorporati una consapevole follia, molte nevrosi vissute, analizzate e
catalogate. Bisogna con Pasolini, considerare che nella scrittura incise la
malattia nervosa, l’assillato studio dell’inconscio, con approfondimenti che si
riferivano non solo a Freud; la struttura poetica è data anche dalle molteplici
sonorità delle numerose lingue che lei parlava, come pure lo studio della
musica (violino e pianoforte), che occuparono gran parte della sua fanciullezza
e giovinezza. Ella stessa dice: ha significato per me ritrovare – pur basandomi
sulla formulazione metrica definita nel 1958 – il coraggio e forse anche il
misticismo di quegli anni adolescenziali: razionalizzandoli fino alle ultime
conseguenze. Spesso i risultati sono violenti, i contenuti sono dei veri e
propri gridi raggiungendo un equilibrio tra la forma del tutto controllata e
contenuto indotto o dedotto, mai automaticamente, ma con grande incidenza
dell’inconscio o per provocazione soltanto letteraria, sia nell’insieme
raggiunto . In questa poetica, seppur unica e originalissima, potrebbero
leggersi lontani echi di Rimbaud, Mallarmé, Kafka, Pound e Montale. La donna e
la poetessa convivono nel senso profondo e misterico. L’ironia, l’inconscio, la
verità, la provocazione, la visionarietà e la scrittura di un verso molto
tecnico creano una poesia senza argini, travolgente e giovane, violenta e
amara.
Carmen Moscariello
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