mercoledì 11 gennaio 2012

La poesia di Giuseppe Napolitano

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 
Il poeta, se è vero poeta, conosce bene la formula personale con cui presentarsi, a cui improntare i suoi versi, come ad una sorta di identificazione all'io più profondo, deputato a dare immagini di sé al mondo.

Non fa eccezione Giuseppe Napolitano. Un poeta che ha saputo imprimere al suo percorso lirico una trama d'ineludibili aperture verso l'esterno, in una più complessa vicenda letteraria che s'innesca nel solco della moderna poesia e tutta l'attraversa.

Il filo conduttore di Giuseppe Napolitano spesso non è nuovo a tendenze neorealistiche del paesaggio d'anima, reso in un contorno di colori e di abissi, di chiaroscuri e di luci spesso ineludibili dalla sua personalissima identità.

Vi è nel sottofondo di questa poetica, e si evince dal riverberato nucleo interpretativo, un forte spessore classico, ma volutamente sfumato e interpretato in tono mai elegiaco, di forte impronta moderna, attraverso un diluvio di immagini, di impasti quasi sonori o insonorizzati da parole -chiave: Prendi la mia voce/ portami nell'eco/ prendi la mia immagine/ portami nella tua ombra/ Sul paese del sogno io/ sono una nube solitaria/ là dove tu sei un luogo per ritrovarsi."

Versi che ti lasciano all'intensa emozione che suscitano.

La lucida analisi dei fonemi lascia dietro di sé un'indagine che scaturisce dalla commozione o emozione.

Da una composizione all'altra e sotto diversi titoli, assistiamo ad un procedimento di postmodernità della poesia, ad un realismo mai asfittico o insincero, che contiene quasi sempre un palpito nuovo, mai banalizzato o sterile. Ma, seppure scostata dal solco della tradizione, e non allineata a criteri di ordine classicheggiante, questa poetica sa dare lauti frutti, sa planare alla caduta negli abissi, sa rinnovarsi nel solco di un tirocinio verbale tra i più alti. 

Es. in "Apparenza di certezza"

 
Solo se riesci a toglierla poi scopri

di avere un'altra maschera sul volto:

il tuo che più non ricordavi fosse

somigliante così tanto a quel che sei.

 
Magnifico esempio di esclusione metrica, che pure sa imprimere con assoluto nitore un verso che lascia il segno.

Nella poesia di G. Napolitano emergono i segnali di due momenti a confronto: l'uno nel solco della tradizione, che si sforza di rimanere in limine, l'altro che puntualmente verifica e cerca un modulo linguistico e l'orientamento ad un verso nuovo, asciutto, scarno, conformato al quotidiano, guidato da una sapienza scrittoria che vuole imporsi ai tempi, alle logiche demodé, a forme liriche obsolete.

G. Napolitano è se stesso fin nelle più intime fibre e nel testo "Quanto di te" datomi in omaggio a Formia nella circostanza di un occasionale incontro al Premio Tulliola, lo dimostra:

Non ho più rifugio

Mi rifugiavo

in me

quando non essere

con te

volevo.

Nudo senza più questo

bisogno

non so rifugi

di cui parlarti ancora.

C'è da chiedersi se il testo è rivolto al dono della poesia o se vi è una figura femminile in sottofondo ad ispirarlo.
L'ambiguità di cui accennavo, resta, poiché tutta o quasi la produzione di Napolitano è improntata a quest'atmosfera rarefatta, quasi una sorta di fedeltà alla precarietà del dire, al doppio significato dell'essere, che si mostrano in tutta la loro splendida ambiguità, come si addice alla vera, alta poesia di tutti i tempi. 

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