Una
recensione familiare
di Biagio Scognamiglio
Eccole, le “Familiari”; almeno
alcune, trovate in rete “per gentile concessione”, che mi consentono però di
cominciare a rendermi conto di questo “lusso”, come lo definisce l’Autore,
aggiungendo che tale “lusso” sarebbe “in limine … e quasi postumo”. Ebbene, a
mio avviso, lusso non è, ma dono, e niente affatto su una presunta soglia, ma
come prova di esordio per una nuova serie di doni; e lasciamolo stare quel
Petrarca con la sua Posteritati,
perché queste liriche sono una creazione iniziale. Una creazione iniziale del
nostro Ugo, che ammiriamo da lontano, anche senza dirglielo a voce, come fa
Ciro. Cito testualmente le frasi di Ciro, quando parliamo di Ugo: Ugo per
Ciro “è un bravo ragazzo” e “è un
grande”. Di fronte allo stile delle “Familiari” siamo non “tolleranti”, ma
al contrario … Come dire? Siamo
coinvolti, rapiti, entusiasti, gioiosi. Proprio così: è la gioia che di verso
in verso questo “lusso” antitetico ad ogni crisi suscita in noi. Prova di ciò è
quel tipo di sorriso che accompagna la scoperta delle invenzioni del registro
linguistico, descritto dall’Autore nel suo “biglietto di viatico”. Alla faccia
di ogni inetta costrizione bocconiana, di verso in verso una sensazione di
libertà ci invade e ci pervade, manifestandosi anche nelle espressioni del
volto, che esprime meraviglia con gli inarcamenti superciliari e compiacimento
con il protendersi delle labbra serrate, diventando però pensoso ad un tratto
nello scoprire accenni al dramma dell’esistere. Inserendosi in una tradizione
che spazia nel tempo da Dante a Palazzeschi, ovvero dal “Papé Satan, Papé Satan
Aleppe” al “Tri tri tri – fru fru fru – uhi uhi uhi – ihu ihu ihu”, quasi a
voler riattualizzare la dichiarazione di poetica secondo cui “è del poeta il
fin la meraviglia”, Ugo si diverte con “stra straluna nostra luna” o “pezz pezz
zu zzi zzzi”; ma ogni attento lettore potrebbe cogliere del resto anche le
folgoranti stratificazioni dei sensi della scrittura, che d’improvviso ci
orientano in direzione delle “soste narrative sui fantasmi che attraversano i
nostri sogni e le nostre visioni”, come scrive l’Autore. Ad esempio, in “Ore
19,34” ci sorprende “il grido dell’attimo trema
- con artiglio di lampo”; in “Cosmonauta ognuno” è l’intero componimento
a mostrare un’ispirazione assorta nel raffigurare le sorti individuali di noi
esseri umani rinchiusi nelle nostre solitudini e sperduti fra le nubi, nubi noi
stessi, mentre con l’orbita terrestre
andiamo viaggiando nell’infinito, e così anche in “E/migrante” in cui
“migrante” con la e- tagliata è ciascuno di noi nel buio di “una notte falsa
come Giuda travestita a luce”; in “La
vasca nera” il verso finale “viva il mare nei cucchiaini” sembra suggerire un
nostro ritorno all’infanzia, evocando immagini di bambini sulla spiaggia
convinti in una sorta di sogno che nei loro cucchiaini ci sia non qualche
goccia di acqua marina, ma il mare intero; ed ecco che le sopracciglia si
inarcano e si protendono le labbra serrate … In un vero canone, non quello del
MIUR, tu, caro Ugo, non potresti mancare.
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