Scrivere sull’opera
di Ugo Piscopo non è compito semplice, perché significherebbe
tracciare un percorso poetico, critico, teatrale e narrativo di ampio
respiro. È arduo, dunque, riuscire ad orientarsi nelle opere di un
autore complesso, perché in esse bisogna considerare molteplici
punti di vista che vanno dalla visione filosofica alle raffinatezze
stilistiche, dal sostrato autoriale al senso di una scrittura
all’interno del panorama letterario, che sembra aver perso punti di
riferimento sia ideologici sia letterari. Il tema affrontato
dall’agile libro di Carmen Moscariello (che si avvale di una
stesura magmatica, che cattura l’attenzione e coinvolge nelle sue
figurazioni) è, però, abbastanza specifico: l’autrice s’immerge
nei meandri e nelle maree delle ultime opere letterarie del Nostro,
in prosa e in poesia: Oscilla
mille
(2013), Contrappunti
e variazioni su tema
(2013), Gramsci,
chi?
(2013), Idilli
napoletani (2012),
Calabria
extra e intra moenia
(2012). Ne emergono nuclei tematici e filosofici di rilevanza
particolare che, inclusi in un primo capitolo del libro, sono
individuabili nell’ossimoro, nel legame con la natura e le arti
visive, in una dimensione esperienziale che va oltre i limiti
autoimposti, in una ricerca non comune, capace di oltrepassare le
mete e gli ostacoli, ma allo stesso tempo di rubare alla natura la
sua essenza divina e di riportarla nell’arte della parola.
Un ragguaglio più
specifico avviene in un secondo capitolo, in cui l’autrice offre
una disamina delle opere pubblicate tra il 2012 e il 2013. Il
pensiero, così come emerge dal commento a Contrappunti
e variazioni, sfoglia
le possibilità del libero arbitrio, ma allo stesso tempo le
inquietudini contemporanee. Esse sono sia storiche che esistenziali,
conseguenza di una necrosi del sociale e del letterario. Indubbio
viene indicato il dinamismo di Piscopo, in prosa e in poesia.
Inoltre, la complessità del frammento, e prova compiuta ne è
Oscilla
mille,
può indire unità di intenti e di visioni, permettere di cogliere
l’unicità del pensiero. Si tratta di uno scrittore che ha una dose
di teatralità poco consueta, intendo la capacità pirandelliana di
essere fluido, cangiante, arguto, ma soprattutto di tessere una
ragnatela costituita da tanti punti focali. Si giunge così ad uno
stadio straniante per il lettore, ovvero alla presentazione di scorci
reali, o possibilmente realistici, che ora sono chiaramente delineati
ora s’immergono nella costruzione mentale di una scenicità vicina
al fantasioso e magico mondo di Cavacchioli, Bontempelli, Savinio,
Stefano Landi ecc… Questi tratti sono possibili in quanto Carmen
Moscariello parla di un contemporaneo che esce fuori dal coro del
‘talqualismo’, che ha maturato l’esperienza critica e artistica
in generale: un intellettuale, in poche parole. Ovvero una
personalità che, semplicemente, pensa quando scrive e scrive quanto
pensa: dono raro nella corsa ad un successo sfrenato di cui molti
pseudo-scrittori vanno alla ricerca. E da questa indole affiora un
senso di ‘sospensione’, che si realizza nel frammento e nella
visione metaforica del reale: perché il mondo è come Napoli, anzi
la città di Napoli è per lo scrittore degli Idilli
napoletani
la metafora e l’amplificazione del mondo. Avviene un transfert,
il medesimo che interessò Sciascia e la sua amata Sicilia.
Non bisogna
dimenticare che ci troviamo di fronte ad uno sperimentatore, uno di
quei pochi, però, che è riuscito a sintetizzare le ricerche avviate
negli anni Sessanta e, in un percorso assolutamente originale che lo
contraddistingue, l’essenza di una tradizione letteraria che si è
protratta nel Novecento. Non è difficile ritrovare in Oscilla
mille,
ad esempio, echi e riscontri pascoliani. E il riferimento al poeta di
San Mauro non è casuale, perché in esso si reperisce una delle più
proficue fucine ‘musicali’ della poesia italiana. Difatti,
l’opera di Piscopo è musicale, oltre che sperimentale. Il
riscontro critico che si delinea per Oscilla
mille
ha una portata non indifferente: sintesi di una tradizione orientale,
che è l’haiku, di una ricercatezza letteraria e linguistica
italiana, del plurilinguismo di estrazione sperimentale.
Perfettamente condivisibile, dunque, l’indicazione che Marcello
Carlino ha dato nella prefazione a questa silloge poetica: egli
atomizza, attua un processo pittorico non dissimile a quello di
Seurat. Il frammento è, dunque, unitario, ma allo stesso tempo
variegato e molteplice.
L’ossimoro e la
vitalità magmatica del dettato nascono alle volte dalla lacerazione
e dalla complessità, dalla duttilità che un intellettuale deve
possedere di fronte alla ‘sua’ realtà. È questo il senso, a
nostro modo di vedere, di una delle tante ammissioni dell’autore,
presente nell’intervista che si pubblica in esergo alle
considerazioni di Carmen Moscariello: «L’individuo e
l’intellettuale, nel mondo moderno, hanno ragioni più stimolanti
per esserci e per affrontare le dure prove, che li attendono, ma
devono operare secondo nuovi modelli di duttilità, di creatività, e
anche di scaltrezza, partendo da una lucida consapevolezza delle
dinamiche generali in atto». Per più versi il personaggio Piscopo,
presente in ogni creazione, si avvicina a quello di Gramsci in
Gramsci,
chi?.
Se nell’opera teatrale sono attori, regista e personaggi a
‘cercare’ Gramsci e ad inquadrarne questa sua assenza, che poi
per assurdo è presenza assoluta, nella produzione letteraria
l’ossimoro di cui parla la Moscariello si identifica proprio in
questa dialettica assenza-presenza dello stesso artefice, nel suo
procedere (si vedano in questo caso gli haiku di Oscilla
mille)
per frammenti e sospensioni, interruzioni e volute.
Leggendo queste
pagine, si ha l’impressione che le induzioni critiche dell’autrice,
o visioni come lei stessa ammette, dirigano lo sguardo su un uomo dal
complesso atteggiamento filosofico, che si delinea progressivamente
nella pluralità ‘dicendi’. In questo diorama immaginativo e
riflessivo, egli diventa la fucina del contemporaneo. Dai versi,
dalle divagazioni teatrali e dal procedere narrativo, Piscopo ci
offre il suo sguardo sul mondo, anche quando affronta le ‘piccole
cose’ al di qua dei grandi temi. È in questo sguardo che dobbiamo
ricercare la vera essenza della scrittura, uno sguardo che sta in
limine,
ma la cui acutezza, se osserviamo attentamente, è perforante e
indicativa per la società intellettuale di oggi.
Giuseppe Manitta
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