sabato 8 novembre 2014

Prefazione a Terre nella sera di Manitta

Scrivere sull’opera di Ugo Piscopo non è compito semplice, perché significherebbe tracciare un percorso poetico, critico, teatrale e narrativo di ampio respiro. È arduo, dunque, riuscire ad orientarsi nelle opere di un autore complesso, perché in esse bisogna considerare molteplici punti di vista che vanno dalla visione filosofica alle raffinatezze stilistiche, dal sostrato autoriale al senso di una scrittura all’interno del panorama letterario, che sembra aver perso punti di riferimento sia ideologici sia letterari. Il tema affrontato dall’agile libro di Carmen Moscariello (che si avvale di una stesura magmatica, che cattura l’attenzione e coinvolge nelle sue figurazioni) è, però, abbastanza specifico: l’autrice s’immerge nei meandri e nelle maree delle ultime opere letterarie del Nostro, in prosa e in poesia: Oscilla mille (2013), Contrappunti e variazioni su tema (2013), Gramsci, chi? (2013), Idilli napoletani (2012), Calabria extra e intra moenia (2012). Ne emergono nuclei tematici e filosofici di rilevanza particolare che, inclusi in un primo capitolo del libro, sono individuabili nell’ossimoro, nel legame con la natura e le arti visive, in una dimensione esperienziale che va oltre i limiti autoimposti, in una ricerca non comune, capace di oltrepassare le mete e gli ostacoli, ma allo stesso tempo di rubare alla natura la sua essenza divina e di riportarla nell’arte della parola.
Un ragguaglio più specifico avviene in un secondo capitolo, in cui l’autrice offre una disamina delle opere pubblicate tra il 2012 e il 2013. Il pensiero, così come emerge dal commento a Contrappunti e variazioni, sfoglia le possibilità del libero arbitrio, ma allo stesso tempo le inquietudini contemporanee. Esse sono sia storiche che esistenziali, conseguenza di una necrosi del sociale e del letterario. Indubbio viene indicato il dinamismo di Piscopo, in prosa e in poesia. Inoltre, la complessità del frammento, e prova compiuta ne è Oscilla mille, può indire unità di intenti e di visioni, permettere di cogliere l’unicità del pensiero. Si tratta di uno scrittore che ha una dose di teatralità poco consueta, intendo la capacità pirandelliana di essere fluido, cangiante, arguto, ma soprattutto di tessere una ragnatela costituita da tanti punti focali. Si giunge così ad uno stadio straniante per il lettore, ovvero alla presentazione di scorci reali, o possibilmente realistici, che ora sono chiaramente delineati ora s’immergono nella costruzione mentale di una scenicità vicina al fantasioso e magico mondo di Cavacchioli, Bontempelli, Savinio, Stefano Landi ecc… Questi tratti sono possibili in quanto Carmen Moscariello parla di un contemporaneo che esce fuori dal coro del ‘talqualismo’, che ha maturato l’esperienza critica e artistica in generale: un intellettuale, in poche parole. Ovvero una personalità che, semplicemente, pensa quando scrive e scrive quanto pensa: dono raro nella corsa ad un successo sfrenato di cui molti pseudo-scrittori vanno alla ricerca. E da questa indole affiora un senso di ‘sospensione’, che si realizza nel frammento e nella visione metaforica del reale: perché il mondo è come Napoli, anzi la città di Napoli è per lo scrittore degli Idilli napoletani la metafora e l’amplificazione del mondo. Avviene un transfert, il medesimo che interessò Sciascia e la sua amata Sicilia.
Non bisogna dimenticare che ci troviamo di fronte ad uno sperimentatore, uno di quei pochi, però, che è riuscito a sintetizzare le ricerche avviate negli anni Sessanta e, in un percorso assolutamente originale che lo contraddistingue, l’essenza di una tradizione letteraria che si è protratta nel Novecento. Non è difficile ritrovare in Oscilla mille, ad esempio, echi e riscontri pascoliani. E il riferimento al poeta di San Mauro non è casuale, perché in esso si reperisce una delle più proficue fucine ‘musicali’ della poesia italiana. Difatti, l’opera di Piscopo è musicale, oltre che sperimentale. Il riscontro critico che si delinea per Oscilla mille ha una portata non indifferente: sintesi di una tradizione orientale, che è l’haiku, di una ricercatezza letteraria e linguistica italiana, del plurilinguismo di estrazione sperimentale. Perfettamente condivisibile, dunque, l’indicazione che Marcello Carlino ha dato nella prefazione a questa silloge poetica: egli atomizza, attua un processo pittorico non dissimile a quello di Seurat. Il frammento è, dunque, unitario, ma allo stesso tempo variegato e molteplice.
L’ossimoro e la vitalità magmatica del dettato nascono alle volte dalla lacerazione e dalla complessità, dalla duttilità che un intellettuale deve possedere di fronte alla ‘sua’ realtà. È questo il senso, a nostro modo di vedere, di una delle tante ammissioni dell’autore, presente nell’intervista che si pubblica in esergo alle considerazioni di Carmen Moscariello: «L’individuo e l’intellettuale, nel mondo moderno, hanno ragioni più stimolanti per esserci e per affrontare le dure prove, che li attendono, ma devono operare secondo nuovi modelli di duttilità, di creatività, e anche di scaltrezza, partendo da una lucida consapevolezza delle dinamiche generali in atto». Per più versi il personaggio Piscopo, presente in ogni creazione, si avvicina a quello di Gramsci in Gramsci, chi?. Se nell’opera teatrale sono attori, regista e personaggi a ‘cercare’ Gramsci e ad inquadrarne questa sua assenza, che poi per assurdo è presenza assoluta, nella produzione letteraria l’ossimoro di cui parla la Moscariello si identifica proprio in questa dialettica assenza-presenza dello stesso artefice, nel suo procedere (si vedano in questo caso gli haiku di Oscilla mille) per frammenti e sospensioni, interruzioni e volute.
Leggendo queste pagine, si ha l’impressione che le induzioni critiche dell’autrice, o visioni come lei stessa ammette, dirigano lo sguardo su un uomo dal complesso atteggiamento filosofico, che si delinea progressivamente nella pluralità ‘dicendi’. In questo diorama immaginativo e riflessivo, egli diventa la fucina del contemporaneo. Dai versi, dalle divagazioni teatrali e dal procedere narrativo, Piscopo ci offre il suo sguardo sul mondo, anche quando affronta le ‘piccole cose’ al di qua dei grandi temi. È in questo sguardo che dobbiamo ricercare la vera essenza della scrittura, uno sguardo che sta in limine, ma la cui acutezza, se osserviamo attentamente, è perforante e indicativa per la società intellettuale di oggi.


Giuseppe Manitta

Nessun commento:

Posta un commento