Charles de Foucauld -Fratelli tutti
Le antiche rotte
dell’Ahaggar
Dio ha creato paesi ricchi d’acqua perché gli uomini vi vivano, ha creato il deserto perché gli uomini vi ritrovino la propria anima. Le antiche rotte
dell’Ahaggar L’opera è protesa alla scoperta del senso divino della
vita e alla narrazione della ricerca di
Dio sulla strada seguita dal Beato
Charles Eugène De Foucauld, in
particolare si narra “la Regola del deserto” con la quale il Santo incontra Dio e le
creature più umili . La figura di Charles è più che mai attuale in
questi tempi terribili dettati dalle bombe e dalla distruzione. Charles de
Foucauld predicò con l’esempio della sua vita la Pace. “Fratelli tutti” è il
punto focale della sua Regola. San Giovanni Paolo II lo dichiarò Beato e Papa
Francesco l' ha voluto Santo. Le stesse encicliche del Papa si ispirano non solo a
San Francesco, ma anche alla Regola e all’esempio di vita del Fraticello del
Deserto. Egli come già San Francesco portò la pace tra gli arabi e i
cristiani, aborrendo le guerre coloniali. Lo scritto è spesso
assoggettato al disordine della memoria, alla confusione dei tempi, alla
sedizione di un modo di vivere nemico di
Cristo, alla preghiera affinché cessino le guerre. Traspare nella scrittura
l’ardore di credere all’ edificazione di una “Città del sole”, un mondo
di luce dove l’amore semini la pace. Si contrappongono molte cadute alla rinascita. C’è la mano di Dio che aiuta
e protegge dalle
scosse distruttive di violenti
terremoti, per dare voce alla preghiera dei ruscelli, al nettare d’agave e a cogliere la luce di
Dio dalla polvere dei venti del Sahara. L’opera, in parallelo alla meditazione sulla conversione di
Charles, esplora fisicamente e spiritualmente il deserto dei luoghi e quello
dello spirito e aspira a realizzare una svolta dell’esistenza umana. In una
costanza meditativa si cerca Dio, per suo tramite ci si avvicina al prossimo. Lo
scritto apre le porte a un’analisi
spietata sulla profonda crisi di civiltà che l’uomo sta vivendo,
esprimendo il distacco dal male in
un’esegesi ariosa e asprigna, nel tentativo di lenire il
dolore. Si sceglie il deserto per disancorarsi, in un viaggio che sfiora la morte. Gradualmente, i graffi
della lotta contro i limiti della natura e dello spirito piegano e
rivoluzionano l’intero modo di porsi davanti a Dio e al mondo. L’autrice
racconta un’esperienza effettivamente vissuta, quella dell’attraversamento del
deserto del Sahara con lo scopo di raggiungere il Romitaggio di Charles Eugène
De Foucauld, nei pressi di Assekrem. Insieme ai molti altri fatti reali
di una vita accidentata dai continui smarrimenti, si
racconta l’esperienza del viaggio che
assume con gradualità i colori della fratellanza al popolo Tuareg, al quale Charles dedicò
molto del suo amore. Il contenuto dell’opera
è manifestato con una scrittura
d’oscillazione tra la poesia e il
pensiero meditativo.
ll tema religioso e dell’amore hanno un ruolo determinante, testimone ne sono il
vento e le dune del deserto. Questi
lembi formano una rete densa di significati i cui fili s’intrecciano senza
sciogliersi e portano un’anima quasi dannata ad abbracciare la croce di Cristo. (Opera di Carmen Moscariello, Gangemi Editore 16/ maggio 2022). |
“Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita
egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita
carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che
dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro
letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato,
a un marocchino, a un povero di passaggio”. (Tonino Bello)
Capitolo I
Miraggio
Mi persi a Fez [1].
Era incantevole, le sue mura sfumavano nella sabbia del deserto. I vicoli della medina erano così stretti, a volte maleodoranti, non c’era anima viva, eppure mi sentivo fissata da molti occhi, da donne e uomini, occhi bramosi, curiosi della straniera: “Si è persa!”. Erano le voci degli uomini; le donne, anche quelle che accompagnavano a fiotti i ricchi emiri, le tante giovani mogli che non parlavano mai, avevano occhi pungenti e le dita delle mani e dei piedi colorate da preziosi tatuaggi, sembravano carte geografiche, fatte per territori inesplorati. Quando i vicoli mi portavano su una torre più alta potevo vedere i cammelli al tramonto (inimmaginabili per bellezza e mistero quei tramonti rossi-arancio), i cammelli erano anch’essi statue di sabbia si muovevano appena, impercepibile il loro dondolarsi, solo le code rompevano il vento. L’unico suono era il mio passo leggero e un fiato caldo che cresceva nel suo ululato. Impressionante è il silenzio, nessuna macchina, nessun motore, tutto era un fruscio; non c’era il rumore delle foglie, c’era un vento che parlava ad alta voce, prepotente e in
inossequioso, sfidava la divinità del silenzio. Tutto era misterioso, quelle
mura bellissime che circondano la medina e le porte alte, non avevano permesso l’accesso alle angosce.
Le montagne del Medio
Atlante si piegavano su di me che inciampavo nelle strade dissestate con i miei
sandali delicati ornati con pietre
luminose, né le candele accese ai bordi
dei riad davano una qualche speranza di
luce. Ero stanca e se ne avessi avuta l’occasione mii sarei volentieri seduta,
le orbite di sabbia disegnavano col vento strane ombre, improvvisa ne apparve
una gigantesca, alzai gli occhi e intravidi
un beduino del deserto, così mi sembrò, con gli occhi neri come la pece, il corpo
avvolto da una sottana bianca lo fece sembrare un dio, né mi sorpresi, quando
egli mi sorrise e mi diede la mano per guidarmi, mi parlò in un francese perfetto
e mi disse di non avere paura. Fu lui a guidarmi dove volevo che mi portasse, e
gli ripetei in francese l’indirizzo del mio
albergo. Percorremmo delle ampie scalinate colore della paglia e in breve tempo
sbucammo dinanzi all’albergo. Gli uomini della hall, preposti ad accogliere gli
ospiti si precipitarono verso di lui che diede comandi in lingua araba, poi mi salutò senza stringermi
la mano, si inchinò e si mise una mano sul cuore.
Silenziosa e vaga mi avviai
verso la mia camera che ancora
non conoscevo, appena aperta la porta sentii un odore acre di sigaretta, chiamai
la hall per spiegare l’inconveniente e si precipitarono in camera tre giovani
uomini, presero lesti i miei bagagli e mi spostarono in una camera bellissima con
il balcone che affacciava su Talaa
Kabira, potei ammirare da qui le bianche torri merlate, che facevano sembrare
la struttura un antico castello e in lontananza arrivavano i rumori dei souk e
i canti dei minareti.
Mi svestii, lavai e asciugai il mio corpo dolce e mansueto e
indossai una sottana di seta nera, non
dimenticai di velare il mio viso e i miei capelli, mi sembrò di guardare
dall’esterno un’altra se stessa, respirai lentamente e rimasi immobile per qualche
attimo, l’immagine del mio corpo mi rimase accanto e sussurrò alle orecchie: ”Sii felice!”.
Misteriosa e vissuta dai pensieri del silenzio, in quella
terra lontana, con radici possenti, avevo in breve riacquistato tutta la mia
femminilità. Mi sentivo bella e desiderata.
A cena mi aspettavano
le mie figlie e altre conoscenze occidentali,
non mangiai quasi niente, ma ballai per l’intera notte, leggera e pura
come la luna che riverberava a ogni feritoia dell’antico castello. La notte
profonda, immersa nel silenzio, mi fece quasi paura mi girai e rigirai nel letto fino all’alba. L’indomani
feci colazione, solo con un caffè arabo di ottima qualità e qualche dattero,
uscii nell’immensità del cielo dell’alba, una donna sulla soglia delle
scalinate dell’albergo con le mani meravigliosamente dipinte di henné, mi fece
segno di avvicinarmi, senza dire una parola, mi aprì delicatamente la mano e mi fece capire di
aver visto due comete che avevano fatto il periplo del Capo di Buona Speranza, mi
disse di molte tempeste, ma anche di tanto
amore. Felice pensai, se mai, finalmente, avessi potuto riconoscere questo
grande amore. Nella mia vita avevo
scelto sempre l’uomo sbagliato. Il vento forte e aspro mi scompigliò il velo e,
i miei capelli rossi mi avvolsero fino a
coprirmi il volto. I lunghi capelli scendevano lisci e ambrati fino alla
schiena. Nessuno della comitiva era presente, né aveva fatto colazione;
approfittai per girovagare nella medina di Fès. La città ferveva di vita e i
mercanti avevano disposto la loro merce come in un anfiteatro. Acquistai l’olio
di argan, ne presi più bottiglie, in
Italia Aldo Coppola, il grande maestro
della cura dei capelli, lo adoperava da tempo e da questo aveva conosciuto i miracoli di quell’olio, mi
spiegarono che quel preparato avrebbe reso ancora più belli i miei capelli. Nel
negozio mi diedero un indirizzo dove poter provare i profumi e i saponi
all’olio d’oliva o impacchi miracolosi per ringiovanire la pelle del viso. Riguardai il dépliant: ampio spazio era
dato alle essenze, sorvolai, perché da qualche tempo, ero intollerante a
qualsiasi profumo, ma gli impacchi al viso mi interessarono molto. Chiusi bene
i miei nuovi acquisti nello zaino e mi avviai fuori dalle mura della medina.
Le strade furono più
benevoli ai miei piedi e il pullman era
lì fermo ad aspettarmi. Ero la prima a salire. Dopo una mezz’ora c’erano tutti,
ed eravamo pronti per partire per Marrakech, un viaggio non molto lungo, ma
triste, poiché insieme alle bellezze dei luoghi appariva chiara la povertà e la
solitudine delle campagne, quasi tutte
utilizzate per i pascoli. La nostra guida parlava un italiano decente, non era
affatto gentile e non ci risparmiava qualche “zeppata” sul modo di fare degli italiani,
raccontò che era stato a lavorare in Italia per dieci anni, che aveva tre
mogli, l’ultima di quattordici anni, disse anche alle donne di vestirsi con
decenza, poiché offendevano con un abbigliamento succinto la loro morale. La
città si presentò ben diversa dalla medina imperiale di Fez, il traffico era caotico e i negozi ricchi di oggetti d’argento
bene intarsiati e di meravigliosi tappeti lavorati a mano, anche le lampade in
vetro bombato mi apparvero preziose e degne di una reggia. Dopo aver, perlomeno
in parte, esplorata la città, ci condussero in un ristorante, per me inusuale, nonostante
avessi spesso vissuto, seppur in periodi brevi, sia a Marrakech che a
Casablanca; c’erano grandi cuscini colorati per terra, disposti senza alcun
ordine, c’erano uomini che fumavano il sebsi, altri il narghilè, neanche dopo pochi minuti mi apparve piegato su di me quel giovane arabo
della notte precedente, a bassa voce mi disse che il caso era stato benevole che l’aveva riportato a lei e gli aveva
permesso di incontrarla di nuovo. Mi staccai dal gruppo e accolsi l’invito di
pranzare con lui. Mi accompagnò nello
stesso ristorante in un salone magnifico con arazzi ai muri che rappresentavano
la linea retta dei cammelli e dei beduini che attraversavano il deserto, la
sala sembrava aspettasse proprio noi due, non c’era nessun altro. Anche gli
arazzi erano tessuti da quel silenzio orbitale. Al nostro passaggio, tutti gli arabi portavano una mano al petto, s’ inchinavano e ci cedevano il passo.
Finalmente potei vedere, solo in parte il suo viso, era
giovane e bellissimo con la barba color carbone e gli occhi di fuoco, come mi
erano apparsi per la prima volta nella notte, aveva un copricapo prezioso,
ornato di pietre colorate e ai bordi fregiato con scritture arabe, più tardi
appresi che quel copricapo si chiamava bent-al bakkon, vestiva di bianco con un
mantello di eguale colore, la mia furibonda immaginazione mi portò subito a un film del 1930 “Marocco” con Gary Cooper, e
Marlene Dietrich, diretto da Josef Von Sternberg, glielo dissi con un sorriso
fascinoso e complice .[1]
Mi sorrise con altrettanto fascino, mi chiese il mio nome: “Il mio nome è Lejla”.
Parlavamo in francese, io avevo imparato solo poche parole arabe, mi fece servire da una teiera d’argento, in un
bicchiere bollente, con manico d’argento, un tè aromatizzato alla menta e alla
cannella, così buono che mai in vita mia ne aveva assaggiato di migliori, pur
essendo una cultrice di tè eccellenti. Parlammo molto, mi chiese quanti giorni rimanevo in Marocco, che
cosa facevo nella vita, rimase piacevolmente sorpreso quando gli dissi che era
una poetessa. Egli : “ci avrei giurato-disse- o una poetessa o una fata dolcissima,
uscita dal manto azzurro del mare e del cielo”. Così si espresse. Alle 16,00 il
mio pullman e la mia comitiva ripartivano, mi salutò con un inchino, io lo
guardai dritto nel profondo degli occhi
e misi la mia mano sul cuore, egli si inchinò a sua volta.
Ripartimmo. In un angolo del pullman, da sola sognavo e
ripetevo a memoria tutti gli attimi di quella giornata, mi rimproverai di non
avergli chiesto nemmeno il suo nome, mentre mi ricordai che il mio egli l’aveva ben memorizzato e appuntato, mi aveva fatto molte domande sui miei itinerari, sugli alberghi nei quali avrei
soggiornato.
Mi convinsi, alfine, che molte cose erano vaghe o solo frutto della mia immaginazione;
i miei occhi inseguirono l’ardore dell’imperatore Adriano e il suo amore
giovane e devoto del dolce Antino, morto suicida, e riflettei su come l’amore sa essere fugace e tenero, anche
terribile! La mia mente si spostava rapidamente e coniugava insieme fatti e
luoghi difficilmente avvicinabili. Mi sembrò di vedere una clessidra la cui
sabbia si affrettava nel misurare il mio tempo. Ero timida, lo ero sempre
stata, ma a volte le cisterne fragorose della mia anima esplodevano, divenivano
immense, ricche di acqua sorgiva, spregiudicate, sapevano percorrere sentieri
inesplorati, anche pericolosi. Pensai che da molto tempo gli uomini non mi guardavano con l’ardore del giovane arabo, che sembrava portare
stampato sulla sua mano e sul suo cuore tutti i colori dei fiori del deserto,
un lillà le attraversava lo sguardo e il viso, in alcuni momenti i suoi
lineamento sfumava verso un blu-viola intenso, poi verso un rosso rubino. Compatii i miei pensieri che
sgangherati si accampavano su quelle fortezze di paglia e sabbia, con piccole
finestre guarnite con musciarabia, sbiadite, nei loro colori sgargianti, dai
raggi cocenti del sole e dalla potenza del vento.
Qui a Marrakech i minareti erano tanti: le preghiere si
aprivano al cielo e agli uomini in molti momenti del giorno e della notte, le
fontane berbere allietavano i suk e gli incantatori di serpenti affascinavano
il pubblico. A differenza di Fez, a Marrakesch tutto era in movimento e il
rumore non abbandonava le piazze nemmeno dopo la mezzanotte. La cena fu
pessima, arrivammo in albergo in ritardo, dopo l’ora stabilita, il riso era
scarso e frammisto a terra. Il personale era inospitale e odiava gli
occidentali. Qualcuno protestò, ma era
come parlare ai muri. Quella bella giornata era stata rovinata da un personale
inadeguato per un albergo a cinque stelle. Andai a letto digiuna, lessi fino
all’ora tarda e seppi tutto sul più alto e antico minareto moresco della
moschea di Kutudyya. La mia camera aveva una finestra che affacciava su una
piazza chiassosa e irradiata da molte luci, qui gli abitanti non dormivano mai
e i negozi rimanevano aperti anche di notte, i miei occhi non vollero chiudersi
e ripassai a memoria tutti i rumori, i sussurri, le ombre di quella terra
straniera. La mia veglia di roccia attraversò il deserto e s'immerse verso le
piste di un altrove sconosciuto, in roseti profumati;
sentii sul mio corpo nudo il freddo della notte e quella luna indiscreta,
capricciosa e bugiarda, spiò i miei pensieri, su di essi si riflettevano le stelle che come me non avevano tempo per dormire.
L’indomani era fissata la pista per Hassekrem.
Viaggiarono fin dal mattino prestissimo, sveglia alle tre. Il nostro pullman correva veloce, su strade disagiate e dissestate, spesso a una
sola stretta corsia, a strapiombo su ponti veramente fragili, per fortuna gli
incontri con altri pullman ricolmi di turisti furono rari e le macchine quasi
inesistenti, solo si rallentava, a volte, poiché la strada era attraversata o
occupata da ovini e da asini che avanzavano lenti con le loro bisacce di un
beige sporco.
La voce dei muezzin per le orazioni mattutine, dai
meravigliosi minareti di Marrakech, andava affievolendosi e lenta e dolce
planava l’alba sulle campagne ancora assonnate e sui piccoli villaggi che si
scorgevano in lontananza. Bisognava percorrere circa 320Km per accedere alla
porta di Merzouga, uno degli ingressi più vicini al deserto del Sahara . Eravamo
giunti sul confine tra Marocco e
Algeria, dopo otto ore di viaggio. L’Algeria
apparve al tramonto con il suoi altissimi
monti dell’Hoggar, con le sue montagne rosse, che non mi sorpresero; quelle rocce rosse le avevo incontrate una
decina di anni prima nel deserto egiziano. La carovana dei beduini ci attendeva
a Merzouga, ”Nel nome di Allah il grande e benefico, vi diamo il benvenuto”. Fu
il saluto cordiale e fraterno del capo della carovana. Nessuna visita era in
programma a Merzouga, era stato deciso che avrebbero affrontato subito il
viaggio nel deserto del Sahara. Il freddo era pungente. Non ebbi molta
difficoltà a salire sul mio cammello, lo fecero inginocchiare e con un balzo vi
saltai sopra. C’erano anche delle bambine di tredici anni, con vestiti colorati in azzurro e rosso, e i
maschietti della stessa età con tuniche bianche , vestiti lunghi che arrivavano
fino ai piedi, per le ragazze il viso era scoperto, si potevano ammirare gli
occhi lucenti, avevano copricapo viola, davvero stupendi. Portavano festosi la
cavezza per quegli ospiti più spaventati
e alla prima esperienza e conoscenza dei cammelli, animali molto diversi dai
cavalli, sembravano che avessero comportamenti bizzarri e testoni. Alcuni dei
compagni di viaggio erano aggrappati alla loro gobba come se essa fosse la loro
ultima speranza, i più disinvolti erano due ragazzetti, figli di una coppia
italiana di Pisa, che gestiva un’agenzia di viaggi, erano della stessa età
o poco
più grandi delle giovani fanciulle Tuareg. In seguito avremmo sempre incontrato ad ogni oasi fanciulli e fanciulle festosi di accoglierci, darci il ben venuto e prendersi cura dei cammelli. I primi a venirci incontro erano loro, i fanciulli
delle oasi!
Senza pretese
[1]
Marrachkech era stata spesso ambientazione per grandi films: Marrakech Express.
.Il Tè nel Deserto.Le
Crociate – Kingdom of Heaven.,L'uomo che Sapeva Troppo.,Il Gladiatore.,Last
Minute Marocco,Un Treno per Marrakech,L'ultima Tentazione di
Cristo.
Nessun commento:
Posta un commento