martedì 10 ottobre 2023

La donna e l’amore dei poeti del Sud: (Amelia Rosselli), Rocco Scotellaro, Renato Filippelli, Ugo Piscopo, Dante Maffia.

 



Riflessioni di Carmen Moscariello

 

 

Quando ci penso, che il tempo è passato,

le vecchie madri che ci hanno portato,

poi le ragazze, che furono amore,

e poi le mogli, le figlie, le nuore,

femmina penso se penso a una gioia:

Sono versi del più dissacrante poeta del nostro tempo.

Edoardo Sanguineti il rivoluzionario del verso, principale e ardito membro del Gruppo 63, anarchico della parola, che in giro prende la vita e il suo banale nulla quotidiano; neanch’egli riesce a sottrarsi al romantico bello della donna nei suoi differenti parametri di madre, moglie e figlia(sic).

Qui , però vogliamo occuparci di alcuni  poeti meridionali che hanno costruito una  parte del loro poetare cantando  la donna e con essa l’amore. Come gli Stilnovisti con stile e rigore, eleganza della parola poetica, hanno posto la Dea-Donna a guardia del focolare della grazia.

Il demiurgo della vita li ha ispirati, coinvolti e stravolti, dando vita a  pagine delicate, passionali, facendo diventare  la protagonista regina   della nona sinfonia di Gustav  Mahler

 Versi  struggenti o anarchici: in nenie di terra, di sole e di grano nella poesia di Filippelli; costruita in fili di gomitolo o con mantello di cane per Ugo Piscopo[1]; o ritrovarla nell’amore candido e giovane di Rocco Scotellaro, il Poeta –contadino, il sindaco socialista di   Tricarico, che si innamorò   della  donna elegante e raffinata, poeta anch’ella, figlia di Carlo Rosselli, parliamo di Amelia.  Infine è da considerare l’amore passionale e carnale di Dante Maffia che canta alla pari di Guido Guinizelli e di Catullo, una poesia molto radicata nell’immensa cultura classica, e nutrita di fervide letture modernissime non solo  europee,  ma del mondo



Ho Conosciuto e conosco personalmente i cinque poeti che vado a trattare, sono stata legata da affetto profondo e da grande amicizia e stima a Renato Filippelli e alla sua famiglia. Così per Ugo Piscopo, che ho studiato in modo attento e assiduo, dedicandogli ben due pubblicazioni di grande successo di critica e di vendite. Egli  dal fianco ispido e il cuore di miele è irpino come me, è un’altra delle voci  d’azzardo della poesia italiana che si rigenera in fluidi magici e sconosciuti.





Vorrei iniziare con Amelia Rosselli, (non è del Sud, Ella appartiene al Mondo, ma il suo legame con Rocco Scotellaro me la fa pensare e amare di più come Donna del Sud ) . Dolcissima donna. La conobbi nelle aule bige del magistrale qualche anno prima della sua tragica morte, seppur avanti negli anni, mi apparve tenera e indifesa come una bimba.

Le chiesi, dopo il dialogo  con gli alunni,  di Rocco Scotellaro, più volte, sempre sfuggente , con dolcezza non volle dirmi niente

 Su altre risposte meno invasive, Ella colmò il vuoto e mi disse di Lei, di come aveva iniziato a scrivere versi, mi disse che ciò avvenne subito dopo la morte di Scotellaro.

Io mi sentii, quando la vidi per la prima volta, come Rocco Scotellaro, mi sembrò di stare davanti a una Madonna,   era  umile, generosa, grata per il mio affetto; mi pregò di considerarla mia amica  e di non metterla su nessun piedistallo.

Poi, nel tempo l’incontro con Rocco mi fu raccontato, parlò dell’amico, del poeta generoso e libero, delle terre del meridione, della madre contadina di Rocco, della calda ospitalità che ebbe in questa casa a Tricarico, del dolce tepore che vi trovò.

 Rifanno il giuoco del girotondo | i mulinelli spirati nella via. | Anch'io c'ero in mezzo | nei lunghi giorni di fango e di sole. | Mia madre dorme a un'ora di notte| e sogna le mie guerre nella strada | irta di unghie nere e di spade: | la strada ch'era il campo della lippa | e l'imbuto delle grida rissose | di noi monelli più figli alle pietre. | Mamma, scacciali codesti morti | se senti la mia pena nei lamenti | dei cani che non ti danno mai pace. | E non andare a chiudermi la porta | per quanti affanni che ti ho dato | e nemmeno non ti alzare | per coprirmi di cenere la brace. | Sto in viuzze del paese a valle | dove ha sempre battuto il cuore | del mandolino nella notte. | E sto bevendo con gli zappatori, | non m'han messo il tabacco nel bicchiere, | come per lo scherzo ai traditori; | abbiamo insieme cantato | le nenie afflitte del tempo passato | col tamburello e la zampogna.”[2]

Sulle grondaie dei ricordi  si tesse e si fila  il futuro. Appare la madre, contadina accorta e generosa. Il Poeta ha un amore tenerissimo per lei.

Si tesse, ma il futuro non c’è.

 Non ci sarà per Scotellaro, che muore a trent’anni d’infarto a Napoli, non ci sarà per Lei che dopo la morte del Poeta fu a lungo ricoverata. E, se quando conobbe Rocco si stava appena riprendendo dal dolore per la morte violenta del padre e più recentemente  della morte della  madre, con la perdita di  Rocco il calvario riiniziava. Però, Rocco Scotellaro le aveva  fatto dono  di una nuova strada, quella  della Poesia, Lei musicista delicata e attenta , appassionata dell’esagramma,[3] diviene da allora compositrice di versi  avvolti di nebbia e di suoni arditi, crepuscolo degli dei fu la sua poesia, cartilagine di Dio, da allora pubblicò bellissime e raffinate raccolte di versi .

 A partire dal primo inatteso incontro al Convegno di Venezia del 1950:  qui, Amelia era da sola, seduta nelle ultime file e il poeta- contadino, nonostante la giovane età, era già considerato come  il  simbolo del risveglio contadino del Mezzogiorno.”La incontrai a Venezia, le chiesi chi era, ma non capii. … Quando capii il suo nome, non so se mi rafforzò il pensiero di esserle amico e di innamorarmi di lei o piuttosto di venerarla come la figlia di un grande martire. Forse mi innamoravo e la veneravo insieme. Sui poggioli delle sedie di ferro i nostri gomiti si toccavano. Pensavo di vederla alta come me, quando ci fossimo alzati. E io chi ero? Lo dissi. Mi sapeva. Aveva letto le mie poesie. Accennò dei giudizi non completamente lusinghieri, ma ciò  permise uno scambio di sguardi che mi fecero più ardito.  Uscimmo insieme. Mangiava al mio stesso ristorante ed era una coincidenza calzante. La presentai a tutti, me la sentivo già mia”





 La poesia di Filippelli è un ensemble, uno spaccato musicale ora ferrigno, quasi oggettivo, ora sublime e delicato. Essendo stati noi due molto amici, quarant’anni di stima di collaborazione, di guida per me, mi raccontava i suoi pensieri. Si innamorava come un bambino e nei suoi versi c’è quella purezza oggi introvabile anche nell’universo poetico. Le opere più belle sono le ultime Come “Plenilunio nella palude”[4] è quella che più amo,  qui  l’amante  del poeta  è la croce di Cristo che egli stesso portò sulle spalle per quasi dieci anni a causa di una malattia cardiaca che, nonostante le sofferenze,  gli permise di lavorare fino agli ultimi attimi della sua vita.

Abbiamo collaborato al Castello Di Minturno per la messa in scena di una mia opera” Gli Alumbrados", fino a quattro giorni  prima della sua morte.

 Io posso dire con  voce serena che non l’ho mai abbandonato. Sono andato a  trovarlo anche negli ospedali, ero insieme a Fiammetta, la più devota di tutte le figlie. Non so chi mi dava quel coraggio! Guai se non l'avessi fatto, non me lo sarei mai perdonato.

Per Ugo Piscopo c’ è stata una grande intesa culturale. Io l’ho sempre considerato il mio Maestro, era un uomo onesto, a volte ispido, come in genere siamo noi irpini, la troppa onestà e il rispetto per  la verità lo portava ad essere rigorosissimo. La poesia di Piscopo fin dagli inizi ha voluto essere una svolta, un’urgenza di togliere al verso il superfluo e dargli una forza morale quasi granitica e nel contempo drammatica. Non abbiamo poesie vere e proprie d’ amore nei suoi quasi 100 libri o forse di più, in questi nessuna donna troneggia, emerge un solo amore chiaro e dichiarato per la sua Ulpia, la sua cagnetta. Egli  sviluppò un dialogo profondo con  tutti i cani e i gatti del Vomero, con essi amava confrontarsi . Nei suoi versi c’è un amore più grande di tutti, quello per gli emigrati, e una pietas cristiana (non era credente) per gli umili. Anch’io e mio nipote Giuseppe abbiamo avuto la sua tenerezza. C’è una poesia scritta a quattro mani  dedicata a me e a mio nipote ( "Il bimbo con due madri") che io custodisco come perle  baccarat

La poesia d’amore di Dante Maffia è un oceano inquieto , invade  le molte migliaia dei suoi versi d’amore. Sono uscite nell’arco di due anni quattro volumi tutti dedicati all’amore. 

 Sono le più belle poesie d’amore. [5]

Mai nessun poeta si è così tanto concentrato, compiaciuto su questo sentimento.

 Gran parte della sua scrittura scalpita.

Sa travolgere e coinvolgere lasciare senza fiato il lettore. Egli ha scritto una vera e propria enciclopedia d’amore dove la donna, sempre cangiante,  occupa l’altare della divinità. Questi suoi  versi, ogni volta che li leggo e li rileggo mi trascinano nelle opere di Donizetti, da  “Il furioso nell’isola di San Domingo” (1833),[6] alla più intensamente coinvolgente che con i versi  mi si allinea nella mente è  “Lucia di Lammermoor” .

Anche nella Poesia (come nella musica)  l’Amore  è   follia?[7],.

Quando il verso  si stende sul grano al sole e i suoi profumi arrivano al cielo,  allora diviene irresistibile, tutto avvolge in un divino coro.

Il suo inno all’Amore diviene così più penetrante del diluvio, capace di azzittire ogni guerra.



Inno all'amore di Dante Maffia.

M’inchino davanti alla tua bocca
che odora di muschio e di luna,
dolcemente apro le tue labbra
che hanno trilli d’uccelli marini.

Amore dolce, rugiadoso, caldo,
che puoi compiere miracoli,
fa’ che il miele delle tue ascensioni
sia sempre pronto a spargersi e a lenire

le mie angosce. Senza di te
la vita si fa grigio adempimento,
fatica, povertà, miseria.
Tu sei l’incanto, il fine e il principio,

tu sei la corsa pazza verso il senso,
la via larga per rinnovare il mondo,
la salita alle stelle, la compiutezza,
l’ardore che sa tessere il sublime.

Sei la strada che apre il sentimento
a Dio in persona, che dà la conoscenza
del mondo e dei segreti della vita;
sei la voce infinita che mi porta
nel cuore della luce e mi rinnova
la carne e la parola.





E’ vietata qualsiasi riproduzione.



[1] Quaderno a Ulpia. La ragazza in mantello di cane. Guida editore

[2] Rocco Scotellaro, Tutte le poesie .Mondadori 2004.

[3] Orchestra esagramma inclusiva di voci e strumenti.

 

[4] Renato Filippelli, Plenilunio nella palude Edizioni Scientifiche Italiane. Napoli 1997.

[5] Le più belle poesie d’amore di tutti i tempiVolume  I, II, III IV, ognuno di550 pagine Pace Edizioni, Reggio  2022

[6] Libretto di Jacopo Ferretti.

[7] Libretto di Salvatore Cannarano

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