"Io dirò la verità" di Guido Del Giudice
Giordano Bruno e il gioco delle illusioni.
di Marco Bertelli
Quando il “moralizzatore” e il “teologo” scendono nell’inferno delle
carceri dove il Nolano, fisicamente ripiegato su se stesso, tesse
incessantemente la sua (ahimè) illusoria tela da presentare al Papa come
l’arazzo più Vero da esporre nei Palazzi Pontifici, non si accorgono
della scritta che appare sopra lo stipite della porta della cella dove
Bruno è rinchiuso: “lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate!!!”.
Ovviamente la scritta non può che essere virtuale, ma c’è da scommettere
che Dante, avesse potuto vedere quei fatti, avrebbe istituito nella
Divina Commedia un nuovo girone del suo inferno, quello dei “poveri
illusi”. Paradossalmente tutti i protagonisti della vicenda,
mirabilmente raccontata in questo libro, incorrono nell’illusione, ma
solo uno dei tre (indovinate chi…) ne è perfettamente cosciente.
Giordano Bruno sa di essere caduto da tempo nell’illusione, che egli
stesso aveva fatto nascere, di poter dare il via ad un Risveglio di una
Chiesa incapace di trascendere la propria dissolutezza morale e incapace
di evolvere dal punto di vista culturale, preda unicamente della sete
di potere. Diversamente da lui, Beccaria e Isaresi sono costantemente in
balìa di un’illusione, dalla quale non sanno liberarsi, quasi fosse un
rogo al quale si sono essi stessi condannati: l’illusione di condurre
alla “ragione”, e quindi all’abiura, colui il quale non ha nulla da
abiurare. Il punto centrale della vicenda, forse, è tutto qua. Nel
“gioco delle illusioni” che i protagonisti inscenano, ciascuno su
diversi piani di coscienza, i ruoli si confondono come in uno
spettacolare ologramma. I due rappresentanti del Sacro Collegio
pretendono di esercitare il ruolo di giudici che il Sant’Uffizio ha loro
delegato e con vane minacce più o meno velate, tentano di impossessarsi
della paura umana di qualcuno che tende ad essere “sovrumano” e che le
paure, a loro dispetto, le ha da tempo trascese. L’Eretico “impenitente e
pertinace”, invece, ribalta la situazione, negando l’autorità , e
quindi l’implicita capacità di giudicare, che i crocifissi pendenti
dalle vesti domenicane, conferiscono ai due (ormai ex) confratelli.
Giordano Bruno è padrone della propria illusione, mentre Beccaria ed
Isaresi, pur se a livelli diversi, sono schiavi di un’illusione
costruita da altri. Questo è il perno attorno al quale gira tutta
l’intelaiatura dei dialoghi e dei diverbi, che rende questa narrazione
molto più avvincente di quanto non possa sembrare una storia dall’esito
risaputo, quale quella che vede un “martire” (come ancora incautamente
molti osano definire il Nolano) condannato ad un ingiusto rogo. La
sublimazione di tutto ciò la troviamo al capitolo 6, dove Bruno rivela
ad Isaresi quell’incubo ricorrente, nel quale pur con la mente “in
piena” come un fiume colmo di idee da rivelare al mondo, non riesce ad
emettere dalla sua bocca la voce che ne permetterebbe la diffusione.
Egli sa, sente che presto gli verrà impedito di comunicare, anche nella
forma più naturale, il sapere che tiene in serbo. Vede in che direzione
la sua personale vicissitudine si sta incamminando, eppure, nonostante
la frustrazione e lo sgomento che il ricorrere di questo sogno
paventano, egli non ne resta irretito, ma continua a dominare il duello
intellettuale che lo vede contrapposto ai due suoi futuri carnefici. Lo
fa in maniera naturale, come solo può fare colui che conosce l’arte di
dominare il sogno, rendendolo reale a suo piacimento, senza restarne,
nel suo intimo, coinvolto. Capacità di scegliere tra realtà e sogno,
caratteristica peculiare di pochi “iniziati”, di coloro i quali hanno la
capacità di “risvegliare gli animi dormienti”. E’ qui che dobbiamo, a
mio avviso, cercare la vera essenza di Bruno. Nell’Eroico Furore che lo
porta a trascendere, ad andare oltre l’illusione, non nell’”eroico
furore” che lo porta ad un martirio utile solo a chi vuole soffocare la
Filosofia del Nolano, racchiudendola e limitandola in un disperato atto
di coraggio e di forza eroica fini a se stessi. “Io dirò la verità” è un
racconto che è in grado di portare il lettore nella direzione giusta
per capire che cosa significa veramente essere un “risvegliatore di
animi dormienti”. Giordano Bruno è proprio questo.
Nessun commento:
Posta un commento