Nelle proprie considerazioni estetiche William Blake, che fu, non dimentichiamolo, anche un interessante scrittore, affermava che l’«Antico
e Nuovo testamento sono il grande codice dell’arte». Questa considerazione ha dato l’incipit ad uno dei testi più interessanti degli ultimi cinquant’anni sull’argomento. Mi riferisco a "Il grande codice. La Bibbia e la letteratura" di Northrop Frye dal quale emergono almeno tre posizioni di lettura e di interpretazione: la prima evidenzia la teoria estetico-letteraria emergente dal grande codice; una seconda chiave di lettura avviene quando si ‘autopone’ il grande codice come testo letterario; ed infine un’ultima analisi che presume il testo sacro come generatore di letteratura e arte. Con altri termini e altre sostanze si riferisce Auerbach al testo biblico, come giustamente rileva Ugo Piscopo nella prefazione al volume di liriche di Carmen Moscariello dal titolo "non è tempo per il Messia". Il titolo, elemento indicativo e necessariamente interessante per l’analisi di un’opera letteraria, nel caso della Moscariello offre un indizio-guida di interpretazione, che si chiarifica solo alla fine della lettura. Ad una prima visione dell’opera, dall’esterno e senza aprirla, l’allocuzione "non è tempo per il Messia" sembra essere un’asserzione, i cui risvolti e sfaccettature devono indagarsi appieno: «A questa fonte seduttiva di rappresentazione della Immensa Assenza di Dio nelle vicende umane, ‘troppo umane’, si potrebbe dire con Nietzsche, se considerate attraverso la specola delle pulsioni all’errore, si richiama Carmen nel titolo, citando il Messia e ponendo tra lui e la realtà contemporanea un netto discrimine, per scelta, ottusità e brutalità del nostro fare» (Ugo Piscopo, dalla Prefazione, p. 10). A ciò, Piscopo aggiunge l’individuazione di consonanze iacoponiane e riferimenti letterari, che sono intensi nell’opera della Moscariello.
A Criseide il dardo attraversa la gola,
nelle periferie d’orizzonte
non è tempo per il Messia
singhiozzi marginali
in passi decisi a ritrovarTi
pur nel capestro delle ore
brucia l’ortica per il tuo abbandono.
Dalla grondaia innevata pende
L’uomo ha perso il pane quotidiano.
Nessuno ha pietà,
il Poeta attraversò lo Stige
nel buio è la morte del mondo senza Dio
il cielo metropolitano
è l’oblio a ogni clemenza.
Si tratta di versi che fanno parte della lirica proemiale, "la vita... un campo di grano maturo..." Dai pochi elementi, si aggiunge un dettaglio al titolo lapidario dell’intera raccolta. La poetessa ci presenta una poesia dello smarrimento in cui non solo l’uomo ha perso Dio, ma ha anche perso se stesso. A questa analisi si associa immediatamente la riflessione che l’autrice inserisce nella seconda lirica della raccolta, "dimmi che esisti", in cui si collega il concetto dell’oblio a quello del naufragio. Nel caso della Moscariello, il naufragio non è quello della dolcezza leopardiana, ma sapora dell’oblio e dello smarrimento: «qui naufraga la logica stanca della ragione // eterno è il pensiero di Dio». Osservando il dato metaforico e simbolico, nelle
prime due liriche ha una funzione identificativa l’ortica, che nella teologia
biblica è il negativo del campo, è l’erba che devasta, così come si ricorda in Osea 9,6 e Isaia, 34,13. La poesia ‘religiosa’ della Moscariello verte, dunque, sulla ricerca e sull’inquietudine, in cui l’anima, rivolgendosi a Dio, «brama di trovarti, ma non conosce dove tu stia», come riferisce Anselmo d’Aosta nel Proslogio. Quindi l’ispirazione biblica si associa alla poesia laica e diviene espressione del tempo vissuto. Il tempo è un’altra categoria fondamentale nell’opera della poetessa: il tempo vissuto, si diceva, e il tempo
da vivere. A questa concezione si collegano, difatti, le tematiche sociali (ad esempio nella lirica dedicata a Ciccio e Tore, i ragazzini precipitati e morti nel pozzo pugliese) e il dolore personale. Questa connessione dei vari tempi della lirica si condensano nel ‘dramma’ dell’assenza di fede che trasuda dal dialogo "fragmenta in passione: stabat mater". Scrive la Moscariello:
né c’è scampo per il ricco epulone
né ai tortuosi ossiuri della parola
la montagna si spaccò attraversata dal dolore
I pesci nel mare annerito
dalla centrale boccheggiarono
per l’ultima volta, tra anse al mercurio
Si tratta di due strofe in cui quella condensazione del tempo si attua in modo chiaro e visibile. Un primo tempo è costituito dal ‘peccato’ biblico e da quello storico. Infatti i due riferimenti nella prima strofe sono uno al vangelo, evento tra i due più noto, e l’altro allo scenario miracoloso della montagna di Gaeta che "si spacca a causa dell’assenza di fede" di un turco. Poi avviene il salto temporale. Il riferimento che Carmen Moscariello fa nella seconda strofe è alla centrale nucleare di Garigliano, probabile causa di inquinamento.
Dunque, il tempo e lo spazio si fondono nel dolore e la poetessa se ne fa carico, se ne assume la ‘croce’ poetica. La passione del titolo di "fragmenta in passione...", che possiamo definire un poemetto, si realizza nel dolore non solo misticoevangelico, ma anche socioambientale e affettivo. Questo ha la sua piena realizzazione nel distacco, di cui simbolo è la separazione tra la madre e il figlio, nel caso del poemetto citato tra Maria e Gesù. In "fragmenta in passione..." si possono individuare altri aspetti della poetica
generale dell’autrice. La teatralità del dialogo, in questo caso più evidente, è presente in più luoghi del testo così come la croce simbolo di dolore e l’immagine della madre dolente («il sale arse il sole e i miei pensieri», da notare la bellissima allitterazione del verso). Di fronte a questa drammatica visione anche il poeta rimane senza parole:
il Poeta è muto
la diaspora strappò via
anche il silenzio
tramonta il mondo
gli stolti hanno ragione dei savi
il tempo ha passo di neve
udii il salmo funebre
a interrare la parola
[...]
Questa è la condizione in cui la poetessa Moscariello vive, ma partecipa anche di una pars construens, positiva in sé, che risiede in due condizioni evidenti: la preghiera religiosa, della quale vari aspetti si riscontrano nell’opera, e una preghiera laica che si rivolge agli affetti principali dell’uomo, ovvero la famiglia e l’amicizia. Nello smarrimento del dolore non ha sopravvento l’abbandono, afferma difatti la poetessa: «vado nel vento, / sono furia e lamento» (senza paura). Ciò accade, sebbene rimanga sempre lecito il dubbio: «o Dio, sono anch’io figlia del cielo?» (vista in sogno). Il lamento, dunque, si associa alla furia, al grido e alla lotta. Gli appigli certi in questa lotta, come si accennava, sono gli affetti. In tal senso bisogna leggere, a mio avviso, le poesie dedicate ad amici, come Renato Filippelli oppure Padre Daniele (p. 38) e ancor meglio le liriche dedicate alle Figlie. Nei confronti di quest’ultime la poetessa non solo nutre un amore incondizionato e assoluto, ma anche la condivisione della ricerca personale, di cui il libro è frutto. È il caso della lirica "a mia figlia Lara" (p. 26) in cui in chiusura si afferma:
Abbiamo insieme varcato le soglie
di ogni dolore per poi ritrovarci sempre
a custodire foglie profumate di pensieri
ricerche di strade che portano al Buon Dio
La chiave di lettura della raccolta viene espressamente indicata dalla poetessa, facendo emergere le due anime che si individuano nella poesia: l’anima del poeta e l’anima della madre. Proprio la coscienza e passione di essere madre rende la lettura religiosa dell’opera della Moscariello anche laica. Difatti, nel già ricordato poemetto "fragmenta in passione: stabat mater", non si ha una semplice ispirazione poetica o riduzione in versi dell’evento biblico, ma la compartecipazione del dolore materno che ha potuto provare Maria madre di Gesù e che la poetessa fa proprio esprimendone la straziante condizione. La duplice figura di poeta-madre, che poi si presenta fusa in una sola personalità, è chiara dal seguente passo tratto dalla lirica "momento d’addio in memoria del Poeta Renato Filippelli":
Chi può dire dove ci incontreremo per raccontarti
Ancora le mie liturgie di madre e di poeta?
Questa condizione, comunque, è legata al dolore, non solo personale, ma anche universale. L’aspetto sociale e universale del dolore non è semplice descrittivismo, ma compartecipazione. Si tratta di una chiara condizione espressa in "poesia":
Nella pietà di un verso
piegai i miei pensieri
poeta
ascoltai il dolore del mondo
brucai l’erba amara
dei chiodati alla croce
denunziai il male
morsicata
dalla tarantola
corsi dalla morte alla vita
raccolsi nei cieli stellati
"non è tempo per il Messia" è anche un’opera dell’ascolto. Molte sono le metafore e condizioni visive della raccolta, ma altrettante quelle uditive. La poetessa sente, e nell’ascolto cerca di capire il dramma, infine lo assimila. Ma esiste un altro tipo di ascolto, quello della preghiera a un Dio che sembra silente, e a volte persino assente. Ho usato il verbo ‘sembra’, perché la poetessa è consapevole, invece, dell’ascolto di Dio perché «chino è l’orecchio di Dio / alla mia preghiera» (non celarti alla mia supplica). Dunque, il titolo "non è tempo per il Messia" si presta ad una lettura antifrastica. Ovvero, non è tempo per il Messia in quanto lo sfacelo è evidente e la sua presenza sembra non percepibile, ma è il tempo per il Messia affinché lui ascolti la preghiera e operi nella riedificazione. Nello smarrimento si respira, dunque, la speranza dell’epifania. Essa è il culmen della poesia, la sua realizzazione. Non a caso la chiusura del libro di Carmen Moscariello è rivolta all’essere madre, alla rinascita o meglio alla nascita come generazione di vita e di speranza.
ha una nuova Epifania la vita
è nell’angelo azzurro che bussa alla nostra porta
È il Natale della gioia
è un bimbo!
il mio cuore di madre scricchiola, si perde
in rugiade antiche, in acque festose
le emozioni sconosciute ricamano l’attesa.
Ho saputo credere in te, mia dolce Silvia,
e che gioia stringerti al cuore, sentirti forte
e pronta a questo cammino luminoso
appari gigante alla tua giovane vita di madre.
("Nel ventre tuo benedetto")
e Nuovo testamento sono il grande codice dell’arte». Questa considerazione ha dato l’incipit ad uno dei testi più interessanti degli ultimi cinquant’anni sull’argomento. Mi riferisco a "Il grande codice. La Bibbia e la letteratura" di Northrop Frye dal quale emergono almeno tre posizioni di lettura e di interpretazione: la prima evidenzia la teoria estetico-letteraria emergente dal grande codice; una seconda chiave di lettura avviene quando si ‘autopone’ il grande codice come testo letterario; ed infine un’ultima analisi che presume il testo sacro come generatore di letteratura e arte. Con altri termini e altre sostanze si riferisce Auerbach al testo biblico, come giustamente rileva Ugo Piscopo nella prefazione al volume di liriche di Carmen Moscariello dal titolo "non è tempo per il Messia". Il titolo, elemento indicativo e necessariamente interessante per l’analisi di un’opera letteraria, nel caso della Moscariello offre un indizio-guida di interpretazione, che si chiarifica solo alla fine della lettura. Ad una prima visione dell’opera, dall’esterno e senza aprirla, l’allocuzione "non è tempo per il Messia" sembra essere un’asserzione, i cui risvolti e sfaccettature devono indagarsi appieno: «A questa fonte seduttiva di rappresentazione della Immensa Assenza di Dio nelle vicende umane, ‘troppo umane’, si potrebbe dire con Nietzsche, se considerate attraverso la specola delle pulsioni all’errore, si richiama Carmen nel titolo, citando il Messia e ponendo tra lui e la realtà contemporanea un netto discrimine, per scelta, ottusità e brutalità del nostro fare» (Ugo Piscopo, dalla Prefazione, p. 10). A ciò, Piscopo aggiunge l’individuazione di consonanze iacoponiane e riferimenti letterari, che sono intensi nell’opera della Moscariello.
A Criseide il dardo attraversa la gola,
nelle periferie d’orizzonte
non è tempo per il Messia
singhiozzi marginali
in passi decisi a ritrovarTi
pur nel capestro delle ore
brucia l’ortica per il tuo abbandono.
Dalla grondaia innevata pende
L’uomo ha perso il pane quotidiano.
Nessuno ha pietà,
il Poeta attraversò lo Stige
nel buio è la morte del mondo senza Dio
il cielo metropolitano
è l’oblio a ogni clemenza.
Si tratta di versi che fanno parte della lirica proemiale, "la vita... un campo di grano maturo..." Dai pochi elementi, si aggiunge un dettaglio al titolo lapidario dell’intera raccolta. La poetessa ci presenta una poesia dello smarrimento in cui non solo l’uomo ha perso Dio, ma ha anche perso se stesso. A questa analisi si associa immediatamente la riflessione che l’autrice inserisce nella seconda lirica della raccolta, "dimmi che esisti", in cui si collega il concetto dell’oblio a quello del naufragio. Nel caso della Moscariello, il naufragio non è quello della dolcezza leopardiana, ma sapora dell’oblio e dello smarrimento: «qui naufraga la logica stanca della ragione // eterno è il pensiero di Dio». Osservando il dato metaforico e simbolico, nelle
prime due liriche ha una funzione identificativa l’ortica, che nella teologia
biblica è il negativo del campo, è l’erba che devasta, così come si ricorda in Osea 9,6 e Isaia, 34,13. La poesia ‘religiosa’ della Moscariello verte, dunque, sulla ricerca e sull’inquietudine, in cui l’anima, rivolgendosi a Dio, «brama di trovarti, ma non conosce dove tu stia», come riferisce Anselmo d’Aosta nel Proslogio. Quindi l’ispirazione biblica si associa alla poesia laica e diviene espressione del tempo vissuto. Il tempo è un’altra categoria fondamentale nell’opera della poetessa: il tempo vissuto, si diceva, e il tempo
da vivere. A questa concezione si collegano, difatti, le tematiche sociali (ad esempio nella lirica dedicata a Ciccio e Tore, i ragazzini precipitati e morti nel pozzo pugliese) e il dolore personale. Questa connessione dei vari tempi della lirica si condensano nel ‘dramma’ dell’assenza di fede che trasuda dal dialogo "fragmenta in passione: stabat mater". Scrive la Moscariello:
né c’è scampo per il ricco epulone
né ai tortuosi ossiuri della parola
la montagna si spaccò attraversata dal dolore
I pesci nel mare annerito
dalla centrale boccheggiarono
per l’ultima volta, tra anse al mercurio
Si tratta di due strofe in cui quella condensazione del tempo si attua in modo chiaro e visibile. Un primo tempo è costituito dal ‘peccato’ biblico e da quello storico. Infatti i due riferimenti nella prima strofe sono uno al vangelo, evento tra i due più noto, e l’altro allo scenario miracoloso della montagna di Gaeta che "si spacca a causa dell’assenza di fede" di un turco. Poi avviene il salto temporale. Il riferimento che Carmen Moscariello fa nella seconda strofe è alla centrale nucleare di Garigliano, probabile causa di inquinamento.
Dunque, il tempo e lo spazio si fondono nel dolore e la poetessa se ne fa carico, se ne assume la ‘croce’ poetica. La passione del titolo di "fragmenta in passione...", che possiamo definire un poemetto, si realizza nel dolore non solo misticoevangelico, ma anche socioambientale e affettivo. Questo ha la sua piena realizzazione nel distacco, di cui simbolo è la separazione tra la madre e il figlio, nel caso del poemetto citato tra Maria e Gesù. In "fragmenta in passione..." si possono individuare altri aspetti della poetica
generale dell’autrice. La teatralità del dialogo, in questo caso più evidente, è presente in più luoghi del testo così come la croce simbolo di dolore e l’immagine della madre dolente («il sale arse il sole e i miei pensieri», da notare la bellissima allitterazione del verso). Di fronte a questa drammatica visione anche il poeta rimane senza parole:
il Poeta è muto
la diaspora strappò via
anche il silenzio
tramonta il mondo
gli stolti hanno ragione dei savi
il tempo ha passo di neve
udii il salmo funebre
a interrare la parola
[...]
Questa è la condizione in cui la poetessa Moscariello vive, ma partecipa anche di una pars construens, positiva in sé, che risiede in due condizioni evidenti: la preghiera religiosa, della quale vari aspetti si riscontrano nell’opera, e una preghiera laica che si rivolge agli affetti principali dell’uomo, ovvero la famiglia e l’amicizia. Nello smarrimento del dolore non ha sopravvento l’abbandono, afferma difatti la poetessa: «vado nel vento, / sono furia e lamento» (senza paura). Ciò accade, sebbene rimanga sempre lecito il dubbio: «o Dio, sono anch’io figlia del cielo?» (vista in sogno). Il lamento, dunque, si associa alla furia, al grido e alla lotta. Gli appigli certi in questa lotta, come si accennava, sono gli affetti. In tal senso bisogna leggere, a mio avviso, le poesie dedicate ad amici, come Renato Filippelli oppure Padre Daniele (p. 38) e ancor meglio le liriche dedicate alle Figlie. Nei confronti di quest’ultime la poetessa non solo nutre un amore incondizionato e assoluto, ma anche la condivisione della ricerca personale, di cui il libro è frutto. È il caso della lirica "a mia figlia Lara" (p. 26) in cui in chiusura si afferma:
Abbiamo insieme varcato le soglie
di ogni dolore per poi ritrovarci sempre
a custodire foglie profumate di pensieri
ricerche di strade che portano al Buon Dio
La chiave di lettura della raccolta viene espressamente indicata dalla poetessa, facendo emergere le due anime che si individuano nella poesia: l’anima del poeta e l’anima della madre. Proprio la coscienza e passione di essere madre rende la lettura religiosa dell’opera della Moscariello anche laica. Difatti, nel già ricordato poemetto "fragmenta in passione: stabat mater", non si ha una semplice ispirazione poetica o riduzione in versi dell’evento biblico, ma la compartecipazione del dolore materno che ha potuto provare Maria madre di Gesù e che la poetessa fa proprio esprimendone la straziante condizione. La duplice figura di poeta-madre, che poi si presenta fusa in una sola personalità, è chiara dal seguente passo tratto dalla lirica "momento d’addio in memoria del Poeta Renato Filippelli":
Chi può dire dove ci incontreremo per raccontarti
Ancora le mie liturgie di madre e di poeta?
Questa condizione, comunque, è legata al dolore, non solo personale, ma anche universale. L’aspetto sociale e universale del dolore non è semplice descrittivismo, ma compartecipazione. Si tratta di una chiara condizione espressa in "poesia":
Nella pietà di un verso
piegai i miei pensieri
poeta
ascoltai il dolore del mondo
brucai l’erba amara
dei chiodati alla croce
denunziai il male
morsicata
dalla tarantola
corsi dalla morte alla vita
raccolsi nei cieli stellati
"non è tempo per il Messia" è anche un’opera dell’ascolto. Molte sono le metafore e condizioni visive della raccolta, ma altrettante quelle uditive. La poetessa sente, e nell’ascolto cerca di capire il dramma, infine lo assimila. Ma esiste un altro tipo di ascolto, quello della preghiera a un Dio che sembra silente, e a volte persino assente. Ho usato il verbo ‘sembra’, perché la poetessa è consapevole, invece, dell’ascolto di Dio perché «chino è l’orecchio di Dio / alla mia preghiera» (non celarti alla mia supplica). Dunque, il titolo "non è tempo per il Messia" si presta ad una lettura antifrastica. Ovvero, non è tempo per il Messia in quanto lo sfacelo è evidente e la sua presenza sembra non percepibile, ma è il tempo per il Messia affinché lui ascolti la preghiera e operi nella riedificazione. Nello smarrimento si respira, dunque, la speranza dell’epifania. Essa è il culmen della poesia, la sua realizzazione. Non a caso la chiusura del libro di Carmen Moscariello è rivolta all’essere madre, alla rinascita o meglio alla nascita come generazione di vita e di speranza.
ha una nuova Epifania la vita
è nell’angelo azzurro che bussa alla nostra porta
È il Natale della gioia
è un bimbo!
il mio cuore di madre scricchiola, si perde
in rugiade antiche, in acque festose
le emozioni sconosciute ricamano l’attesa.
Ho saputo credere in te, mia dolce Silvia,
e che gioia stringerti al cuore, sentirti forte
e pronta a questo cammino luminoso
appari gigante alla tua giovane vita di madre.
("Nel ventre tuo benedetto")
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