Prefazione di Marcello Carlino, copertina di Tiziano Pastore
Opera presentata a Roma il 20 dicembre presso l’editore Empirìa. Relatori: Marcello Carlino, Elio Pecora, Carla Vasio.
Recensione di Carmen Moscariello
Last ditch-last folium
Druidi galoppano in notti di neve bianca e vento, filamenti d’autunno trascorso, last shot l’ultima inquadratura che viene dopo mille e più di mille. Questi haiku di Piscopo in un titolo che sa di infinito, è esaltato da un vento che prosciuga, ma non aliena e il lato trascorso è quello da venire in un canto del Nulla.
Immagini che si sfogliano in un libro bruciato, violato, abbandonato , ma sempre attraversate dal tempo e dagli spazi di molti mondi. Un affanno misterioso(yugen) inebria, stordisce viaggia in anse , fessure dove si concretizza in immagini il dolore. l’inconscio, nonostante il grande senso del logico e del metrico essenziale alla costruzione degli haiku, invade, pervade. Senti il profumo di una danza tandava, che sfugge di mano anche all’autore: i versi cadono a volte come una pioggia d’agosto, sfiorano l’udito e l’occhio tra musicati bengali e tamil, ritmi degni della danza della dea Kali, che col piede destro inizia una danza che annienta l’ignoranza per ricomporre un nuovo ordine del mondo.
La struttura stessa dell’haiku nelle sue diciassette sillabe, nei suoi tre versi: quinario, settenario, quinario, impone un costrutto ritmico , una musicalità tale da concretizzare delle lontananze che sono quelle del saggio che analizza il modo, il dolore del mondo e i suoi silenzi che attraversano intuitivi e dirompenti il mistero dell’universo, la linea che unisce le estreme strade del Nulla.
C’è dunque negli haiku di Piscopo una “texture”un’ orchestra di fiori, di occhi non stanchi. Talaltra, sferzano come una tempesta della tundra russa, gelando il cuore e la mente (wabi).
La poesia in questa preziosa opera si ripropone come dinamismo, viaggia in molti mondi, il vento spinge , raccoglie, sgretola, annienta. Fureggia il vento in bianco e in nero, non dà pace. Mono- no aware, una consapevolezza della caducità, del relativo della vita, della morte che attraversa le notti e rigenera. Yugen sentire le forze dell’universo, che non appartengono solo all’uomo, che attraversano le creature del mondo come fuscello, come foglia d’autunno e un vento che spazza via e rigenera, ricontempla, rimusica.
In stipi di pensieri e racconti di silenzi, sempre più sibila il Poeta tesse quinari , settenari, quinari, sfidando il trisulla del dio Bhairava. il poeta ama l’oriente, si avventura nella cultura misteriosa e fascinosa del Giappone, qui è il silenzio(sabi) il dio che non turba, che chiede che gioca con una sabbia di deserto lontano, lontano.
Il libro contiene haiku bellissimi, quindi immagini bellissime, memorie di mille passati, di un correre in mille avventure verso un doloroso destino del mondo. Parole, molte parole, fogli, libri che potrebbero racchiudere le nervature scoperte delle fotografie di Yuri Dojc, (last folium), come il grande fotografo slovacco-canadese, le immagini concentriche (il sasso del dolore fa vibrare all’infinito lo stagno) sono quelle di un di un passato che non passa, di un dolore eterno come quelle della scuola ebraica di Bardejov dove giacciono inermi i libri abbandonati dagli studenti deportati in campi di concentramento. Lì la vita attende.
Il dolore che ci racconta Piscopo è costruttore di una semiotica visiva, immagini torchiate come i numeri che venivano incisi sulla pelle dei bambini deportati. last wil -testamento di una storia umana, di un proiettile del quale si ignora la traiettoria. Last-ditch disperato il mondo che non scrive più alcuna storia. E poi l’haiku riprende il suo ritmo di tantra nei quinari e settenari che si ripetono e zampillano come le acque delle fontane dell’Alhambra de Granada, sono quelli dedicati alle erbette, ai fiori, alle piante profumate, al rosmarino, al rosolaccio ( oscilla rosso /per un colpo di sole/ il rosolaccio) ,ai mirtilli (mirtilli mille/ occhi sul brulichio/di muschi ed erbe), la musicalità e l’armonia raggiungono l’apice, tutto il libro non contiene punteggiatura, (solo qualche punto interrogativo), ogni parola si sposa felice con quella al suo fianco, ma anche nell’immensità del libro trova il suo posto bene assegnato. In questa porzione dell’opera per un attimo è tregua. Ma, le armonie sono soggette a una continua rinascita, in modo che il dio Bhairava non blocchi la porta, di grande suggestione (ma anche molto dolore) sono gli haiku relativi alla porzione di extrasistoli e aritmie e ancor più nelle pagine titolate Io dopo gli altri.
“Le acide attese” sono letture presaghe del mistero che avvolge e sconvolge.
più e più ti affretti/
Cuor mio a quale meta?
D’impulso di che?
Cuore al guinzaglio
Sgranare infine a chicchi
Conta del tempo
Segue una pagina governata in modo duro e violento dalla parola silenzio:
defibrillati
sottovuoto persino
silenzi atroci
sottolinguali
a sciogliere silenzi
acide attese
Qui tutto si stritola, per ricomporsi nell’insonnia del mondo, dell’uomo giusto che cerca una traiettoria differente.
Eppure, nonostante il dolore si palesi fortemente nella parola poetica, il ritmo dei suoi haiku è intraprendente, si pone colorato, fanka frenetico, in un movimento atletico, come quello de Il legnaiolo di Fortunato Depero: non fugge, corre, seppur carico.
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