domenica 5 gennaio 2014

Oscilla mille di Ugo Piscopo Editrice Empiria, Roma, ottobre 2013.

Prefazione di Marcello Carlino, copertina di Tiziano Pastore
Opera presentata a Roma il 20 dicembre presso l’editore Empirìa. Relatori: Marcello Carlino, Elio Pecora, Carla Vasio.
Recensione di Carmen Moscariello
Last ditch-last folium
Druidi galoppano in notti di neve bianca e vento, filamenti d’autunno trascorso, last  shot l’ultima inquadratura che viene dopo mille e più di  mille. Questi haiku di Piscopo in un  titolo che sa di infinito, è  esaltato da  un vento che prosciuga, ma non aliena e il lato trascorso è quello da venire in un canto del Nulla.
Immagini che si sfogliano in un libro bruciato, violato, abbandonato , ma sempre  attraversate  dal tempo e dagli spazi di molti mondi. Un affanno misterioso(yugen) inebria, stordisce viaggia in anse , fessure dove si concretizza in immagini  il dolore.  l’inconscio, nonostante il grande senso del logico e del metrico essenziale alla costruzione degli haiku, invade, pervade. Senti il profumo   di  una danza  tandava, che sfugge di mano anche all’autore: i versi cadono a volte come una pioggia d’agosto, sfiorano l’udito e l’occhio  tra musicati  bengali e tamil, ritmi   degni della danza della dea Kali, che col piede destro inizia una danza  che  annienta l’ignoranza  per ricomporre un nuovo ordine del mondo.
La struttura stessa dell’haiku nelle sue diciassette sillabe, nei suoi tre versi: quinario, settenario, quinario, impone un costrutto ritmico , una musicalità tale da concretizzare delle lontananze che sono quelle del saggio che analizza il modo, il dolore del mondo e i suoi silenzi che attraversano intuitivi e dirompenti il mistero dell’universo, la linea che unisce le estreme strade del Nulla.
C’è dunque negli haiku di Piscopo una “texture”un’ orchestra di fiori, di occhi non  stanchi. Talaltra, sferzano  come una tempesta della tundra russa, gelando il cuore e la mente (wabi).
 La poesia  in questa preziosa opera si ripropone come  dinamismo, viaggia in molti mondi, il vento spinge , raccoglie, sgretola, annienta. Fureggia  il vento  in bianco e in nero, non  dà pace. Mono- no aware, una consapevolezza della caducità, del relativo della vita, della morte che attraversa le notti e rigenera. Yugen sentire le forze dell’universo, che non appartengono solo all’uomo, che attraversano le creature del mondo come fuscello, come foglia d’autunno e un vento che spazza via e rigenera, ricontempla, rimusica.
 In stipi di pensieri e racconti di silenzi, sempre più sibila il Poeta tesse   quinari , settenari, quinari, sfidando il   trisulla del  dio Bhairava. il poeta ama l’oriente, si avventura nella cultura misteriosa e fascinosa del Giappone, qui  è il silenzio(sabi) il dio che non  turba, che chiede che gioca con una sabbia di deserto lontano, lontano.
Il libro contiene haiku bellissimi, quindi immagini bellissime, memorie di mille passati, di un correre in mille avventure  verso un doloroso destino del mondo. Parole, molte parole, fogli, libri  che  potrebbero  racchiudere le nervature scoperte delle fotografie di Yuri Dojc, (last folium), come il grande fotografo slovacco-canadese,  le  immagini concentriche (il sasso del dolore fa vibrare all’infinito lo stagno)  sono quelle di un di un passato che non passa,  di un dolore eterno come quelle della  scuola ebraica di Bardejov  dove giacciono inermi i libri abbandonati dagli studenti deportati in campi di concentramento. Lì la vita attende. 
Il dolore che ci racconta Piscopo è  costruttore di una semiotica visiva, immagini  torchiate come i numeri che venivano incisi sulla pelle dei bambini deportati. last wil -testamento di una storia umana, di un proiettile del quale si ignora la traiettoria. Last-ditch disperato il mondo che non scrive più alcuna storia. E poi l’haiku riprende il suo ritmo di  tantra nei quinari e settenari che si ripetono e zampillano come le acque delle fontane dell’Alhambra de Granada, sono quelli dedicati  alle erbette, ai fiori, alle piante profumate, al rosmarino, al rosolaccio ( oscilla rosso /per un colpo di sole/ il rosolaccio) ,ai mirtilli (mirtilli mille/ occhi sul brulichio/di muschi ed erbe), la musicalità e l’armonia raggiungono l’apice, tutto il libro non contiene punteggiatura, (solo qualche punto interrogativo), ogni parola si sposa felice con quella al suo fianco, ma anche nell’immensità del libro trova il suo posto bene assegnato. In questa porzione dell’opera per un attimo è tregua.  Ma, le armonie sono soggette a una continua rinascita, in modo che   il dio Bhairava non blocchi la porta, di grande suggestione (ma anche molto dolore) sono gli haiku relativi alla porzione di extrasistoli e aritmie e ancor più nelle pagine titolate  Io dopo gli altri.
“Le acide attese” sono letture presaghe del mistero che avvolge e sconvolge.
più e più ti affretti/
Cuor mio a quale meta?
D’impulso di che?

Cuore al guinzaglio
Sgranare infine a chicchi
Conta del tempo
Segue una pagina governata in modo duro e violento dalla parola silenzio:
defibrillati
sottovuoto persino
silenzi atroci

sottolinguali
a sciogliere silenzi
acide attese
Qui tutto si stritola, per ricomporsi nell’insonnia del mondo, dell’uomo giusto che cerca una traiettoria differente.
Eppure, nonostante  il dolore si  palesi fortemente nella parola poetica, il ritmo dei suoi haiku è intraprendente, si pone colorato, fanka  frenetico, in un movimento atletico, come quello de  Il legnaiolo di Fortunato Depero: non fugge, corre, seppur carico.

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