È la storia di una vita raccontata come fosse un romanzo - o è un romanzo che si nutre della Storia (quella con la maiuscola) facendone emergere le mille storie private che ne sono il filo conduttore... Già il titolo mette in allarme: il famoso vocativo foscoliano è ambiguo, ma riferito esattamente ad una patria dolorosamente ricordata e amata. Qui è Napoli - ma diventa microcosmo rappresentativo dell'Italia intera (e comunque sempre sullo sfondo, ma a volte anche in primo piano, c'è la Storia italiana del secondo Novecento - della quale il protagonista di Zacinto mia è partecipe, più o meno volontariamente, e della quale l'autore, fingendo rispetto al protagonista stesso un certo distacco, si fa anche critico, sconsolatamente rassegnato agli eventi, come un napoletano da romanzo, appunto). Bisogna seguire la complessa trama che Antonio Piscitelli tesse attorno alla figura centrale e alle altre necessarissime che lo accompagnano sempre più lontano da "Zacinto". Bisogna farsi una ragione - come appunto se la fa il personaggio (probabilmente, visto che si parla pure di psicoanalisi, rappresenta lo scrittore): da una vita costruita si esce decostruendola, senza patemi o rancori, ma per superarne ostacoli e limiti che affievoliscono e smorzano l'identità. Bisogna allontanarsi per sentire quanto è vicina Zacinto mia.
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