a te che già vivi nel futuro
In questo tempio di memorie
- dove ombre e parole racchiuse
nel silenzio ripetono il fremere
delle voci perdute in una nuvola
di gelo - scrivo a te, fragile vena
assettata di vita, con il cuore
dolente e l’azzurro nell’anima.
L’assenza è il sasso in bilico
su questa scogliera in ascolto
sull’abisso e il riscatto
è la forza di negare il nostro
cedere alla furia di questo
vento che piega gli attimi
in respiro e volge in fuoco
il cristallo di una lacrima.
Scrivo a te che, povero di anni,
ignori il calore del focolare
spento, il sibilo della sirena
mordere il buio, il ricordo
del pane farsi ansia e pena
nelle ore insonni
delle nostre tenere stagioni.
Ti scrivo perché la perla
di rugiada – linfa allo stelo
riarso – non diventi goccia
di pianto e il manto infinito
del cielo avvolga di calore
il tuo cuore fanciullo.
Vivi nel turbinio delle piazze
in rivolta, smarrito nell’indifferenza
del domani, nella violazione
cieca del diritto di credere.
Ma hai lo spazio di gridare
la tua libertà, il privilegio
di sperare che il lento calpestio
della notte forzerà il sole
a illuminare i tuoi segreti.
Ti scrivo per esortarti a essere
uomo in ogni espressione.
A inseguire con tenacia
quella parvenza di luna
che trema
e palpita ignara di ogni
minaccia che sale
dall’inquietudine del tuo mondo.
Disperdi con la luce del tuo
credere le nubi trafitte
dai grovigli di ferro pronti
a impigliare il tuo diritto,
e inventa spazi e orizzonti
sepolti dai solchi dell’oblio.
E non sarai solo, mai,
se il tratturo dove lotti
di inventare la vita avrà
barlumi di luce: sarà la foce
smarrita in questo mare
di sguardi pronti ad imprigionare
lampi di gioia nel guscio
vuoto delle nostre mani.
Michele Urrasio
Pubblico su il mio "Levriero" questi versi di Michele Urrasio. Essi sono l'esempio di quanto grande possa essere il cuore di un poeta. Egli viaggia nell'immenso, fa si che ciò che potrebbe essere dolore e perdizioni si può trasformare prima in preghiera e poi in atto d'amore. Sostengo da molto che il mondo ha bisogno della Poesia, non del generico lamento poetico, ma di una poesia che sia ardore e canto che insegni soprattutto alle giovani generazioni, ma a tutti noi e soprattutto a quelli che l'hanno dimenticato, che la poesia è dramma e amore ,è pane, è abbraccio, è natura -uomo-Dio .I versi di Michele Urrasio aprono le porte a un mondo da conquistare, da amare e rispettare, è l'invito a non chiudere le porte, a sapere apprezzare il profumo del pane e della libertà, beni preziosi per i quali molti eroi sono morti. Pensare, ragionare, capire sono le essenze che ci rendono umani.
Pubblico su il mio "Levriero" questi versi di Michele Urrasio. Essi sono l'esempio di quanto grande possa essere il cuore di un poeta. Egli viaggia nell'immenso, fa si che ciò che potrebbe essere dolore e perdizioni si può trasformare prima in preghiera e poi in atto d'amore. Sostengo da molto che il mondo ha bisogno della Poesia, non del generico lamento poetico, ma di una poesia che sia ardore e canto che insegni soprattutto alle giovani generazioni, ma a tutti noi e soprattutto a quelli che l'hanno dimenticato, che la poesia è dramma e amore ,è pane, è abbraccio, è natura -uomo-Dio .I versi di Michele Urrasio aprono le porte a un mondo da conquistare, da amare e rispettare, è l'invito a non chiudere le porte, a sapere apprezzare il profumo del pane e della libertà, beni preziosi per i quali molti eroi sono morti. Pensare, ragionare, capire sono le essenze che ci rendono umani.
È una composizione di Michele Urrasio di ampio respiro. Il poeta abitualmente ama riassumere nel raggio di pochi versi i frammenti del suo sentire.
Nel chiuso del suo studio – dove conserva gelosamente memorie e affetti – Urrasio rivolge la sua parola "con il cuore / dolente e l’azzurro nell’anima", mediante un’efficace sinestesia, a quanti hanno lo sguardo rivolto al domani e già sperano in un futuro migliore.
Scrive perché i giovani conoscano il valore del calore domestico, il prezzo sacro della libertà, le sofferenze e le rinunce che essa è costata: il freddo dei giorni incerti, il timore della solitudine, l’incubo della tragedia, il delirio dell’abisso, l’ansia scontata «nelle ore insonni / delle nostre tenere stagioni».
Vibra in questi versi il desiderio di mettere in guardia e di proteggere i figli, i nipoti, le nuove generazioni dal pericolo che «il turbinio delle piazze / in rivolta» possa costringerci al silenzio e che la luce della speranza e "il sole" non riescano più a «illuminare i nostri segreti». Esortazione accorata a essere se stessi oltre ogni apparenza, a essere uomini in ogni espressione, inseguendo, fermi e decisi, la determinazione a esorcizzare «la minaccia che sale / dall’inquietudine del mondo».
In questo modo, così soltanto, si potranno disperdere «le nubi trafitte / dai grovigli di ferro» – tragica testimonianza di un doloroso passato – e inventare una vita densa «di sguardi pronti a imprigionare / lampi di gioia nel guscio / vuoto delle nostre mani».
Con il cuore dolente e l’azzurro nell’anima è il grido del poeta che conosce gli scompensi del vivere, il peso dell’indifferenza, e auspica che il nostro pianeta abbia "spazi e orizzonti" sempre più liberi, sempre più sereni.
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