GIULIA FERA – FRANCESCO TESTA, Aironi di carta, Napoli, grauseditore, 2017, pp. 159; Veleni &Verità, Napoli,
grauseditore, 2018, pp.141.
Due opere pregiatissime, scritte a quattro
mani, ma, a giudicare dalla omogeneità della scrittura, con intenti comuni anche di carattere
linguistico ed estetico. Infatti i due libri hanno una fisionomia omogenea e
sanno entrare nell’interesse del lettore con facilità, sia perché trattano argomenti attuali e di rilievo,
come la violenza carnale e come l’immigrazione, e sia perché sono leggibili, direi
godibili, come s’usava dire un tempo, e sanno affrontare le problematiche messe
in atto con convinzione e con una rara conoscenza di carattere psicologico. Si
dirà, per forza, uno dei
due autori è psicologo e psicoterapeuta, ma la scrittura ha altre esigenze e
altri esiti di quelli che escono dai canoni della professionalità esercitata e perciò non
è merito della specializzazione del lavoro, ma merito di una esigenza interiore
di racconto che si fa indagine lieve e convincente e rende i protagonisti delle
vicende credibili e direi veri.
Oggi sono tante le storie raccontate dagli
scrittori sugli abusi, ma quasi tutte vivono dentro atmosfere da resoconto, da
articolo giornalistico improntato alla sociologia. La vicenda di Rosaria,
adolescente abusata, la troviamo in troppi scrittori, ma qui ha una finezza
narrativa che esula dalle solite recriminazioni e dagli stereotipi e diventa
emblema di una condizione umana di rara efficacia.
La penna di Giulia Fera e di Francesco
Testa non cade mai nel languore della commiserazione o nell’alone del patetico
pur affrontando tematiche così rischiose sul piano della adesione psichica,
riesce a restare starei per dire obiettiva, capace di individuare il senso
recondito di una quotidianità che ha risvolti intriganti, come deve essere nelle opere di
narrativa.
Anche in “Veleni & Verità” i temi non
soffocano mai la rarefatta bellezza della scrittura e la psicologia non
appesantisce e non adombra, per esempio, l’analisi della relazione di coppia
che si dipana con improvvisi momenti di situazioni scabrose. Lo stesso avviene
quando si affronta il tema dell’immigrazione, che ne produce tanti altri, a
cominciare da quello della interculturalità. Ma c’è di più, direi una sorta di
spietatezza di indagine che va a scovare e a trattare del traffico di organi.
Tutto però è dosato e reso con vero senso
narrativo, così da evitare quell’andatura da documento che molto spesso,
ultimamente, in romanzi che narrano di mutamenti epocali, come questo, ha preso
la mano agli scrittori.
La domanda che mi sono fatto, con una
sorta di preoccupata apprensione, è stata: “Come hanno fatto i due autori ad
affrontare così tante problematiche in due romanzi tutto sommato brevi”.
Una rara economia di dettato; una scrittura sempre ben calibrata e mai dissonante; una capacità di saper rendere le situazioni senza mai debordare verso gli eccessi o
Una rara economia di dettato; una scrittura sempre ben calibrata e mai dissonante; una capacità di saper rendere le situazioni senza mai debordare verso gli eccessi o
verso l’oscurità lessicale o puramente linguistica; una
convincente rappresentazione di mondi che nel mentre sembrano doversi scontrare
riescono a trovare una qualche soluzione.
Non sono mai mancate le coppie che hanno
firmato a quattro mani delle opere di narrativa. La più famosa, ultimamente, è quella
composta da Fruttero & Lucentini, e devo dire che gli esiti sono stati
quasi sempre convincenti e anzi a volte esaltanti. Diceva mia madre che dove
guardano quattro occhi vedono meglio di due, come a dire là dove lavorano quattro mani e due cervelli è
meglio di quelle dove lavora un solo cervello e lavorano due mani.
Ma sono tutte formule nate col senno di
poi. La realtà è la misura che si fa sul campo, cioè nei testi, a darci la
risposta negativa o positiva.
In questi due libri la risposta è completamente positiva per tutti e due e per una serie di ragioni, alcune della quali le voglio sottolineare.
In questi due libri la risposta è completamente positiva per tutti e due e per una serie di ragioni, alcune della quali le voglio sottolineare.
La prima, lo ripeto, è la compattezza
stilistica: sembrano opere uscite da un medesimo cuore, da un unico fiato: la
seconda è la capacità di aver saputo coagulare storie infinite in una sola storia; la terza,
ma ve ne sono altre, è la pulizia della lingua, l’aderenza della parola al
senso del narrare.
Tutti elementi che rendono i due libri, sì,
mi sembra opportuno ripristinare antichi modelli che la dicono lunga, omogenei,
credibili e appetibili. Autentiche opere di narrativa nelle quali si affrontano
le verità scottanti
del nostro tempo così carico di
disfunzioni e di contraddizioni, di sfasamenti e di rinnovamenti finti o
gratuiti.
DANTE MAFFIA
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