sabato 20 gennaio 2018

Lettera a un giudice di Paolo Saggese. Rilettura di Carmen moscariello


“Lettera a un giudice”  Racconto fantastico sulla corruzione di Paolo Saggese

Recensione all’opera di Carmen Moscariello





Il rovescio della medaglia o del diritto rovesciato

La scrittura apparentemente “liscia”, un piccolo torrente senza orgoglio, ma ci sono lì ad ogni inizio di paragrafo, i testimoni che in brevi incisi dicono ciò che è giusto e vero e del quale non si è tenuto conto. Come una mala bolgia ,ci sono  i venti amari  dell’invettiva, di chi ha subito un grave torto e non può far niente. Il suo sogno stroncato,  ; un rielaborare nella storia di tipo ossessivo gli eventi minimi;  tutto è stato curato: i sacrifici sono stati fatti; la stoffa della persona preparata c’è, i luoghi e le persone raccontate nel senso bernhardiano, un ottuso silenzio e la vana attesa di una giustizia che non c’è, l’impossibilità di cambiare le cose rende il protagonista annientato.

E Talora alle foci solitarie dei piccoli fiumi è una greggia che splende come una ghiaia ; e io guardo verso le montagne dove forse un’altra greggia sabbevera alle sorgenti solitarie. Un ampio greto discendendo dalle montagne è simile a un cammino di migrazione abbandonato, simile al tratturo dei miei padri sterilito. E odo dentro di me camminare i pastori defunti e i grandi armenti morti…E le ombre occupano la luce, lacerano la coscienza e il greto è sterile, le acque stagnanti sono fetide.

Che cos’ è un atto di ingiustizia?

Fino a qual punto può divenire incubo, e, soprattutto, se cade per sempre la fiducia nella giustizia, che sarà del mondo? Esso stesso  finirà in uno sterile fosso?

Il romanzo di Paolo Saggese ci mette di fronte a queste problematiche e il suo stile è volutamente calmo, apparentemente senza rabbia, ma fibbrila nell’incapacità di rassegnarsi. lo sfogliare di sacrifici non gridati, posti lì ironicamente, quasi egli stesso intenerito dall’ingenuità del suo  credere nella giusta ricompensa per chi lavora, per chi vale, per chi crede nella vita e nel bene. Il suo comportamento è giusto, onesto, vigoroso, etico, nessun potrà negargli ciò che di diritto gli spetta.

Il clima grottesco,  in qualche passaggio, sottolinea anche la nullità dell’evoluzione: l’evoluzione non c’è, ciò che è vero è il conformismo al male, alla raccomandazione, alla vittoria dei disonesti. Bisognerebbe rompere gli schemi ,partire da altre sponde per ricostruire il Paese, così’, con questi criteri, non può che morire.i

Alcuni uomini, “I giusti” (per fortuna ce ne sono anche tra gli stessi giudici –eroi che mettono a repentaglio la propria vita, perché la legge sia rispettata ) guidano sicuri la strada del bene,ma sono troppo pochi.

 Ma, il piccolo fiume, essenziale al gregge per abbeverarsi, diviene spesso tomba per i pastori e il povero gregge muore, perché prevalgono schematismi dettati solo dall’utile e da un individualismo e obiettivismo sfrenat.

E’ un’opera in nero questo romanzo, la coscienza arriva a mettere in crisi se stessa, mette molta tristezza, poiché ognuno di noi potrebbe facilmente ritrovarsi o già si è più volte ritrovato  negli accadimenti raccontati. Così “l’avventura di un povero cristiano” che non vive per niente nel migliore dei mondi possibili , grida giustizia, vuole giustizia.

Spesso si crede che la giustizia sia data solo dalle leggi, ma ci sono troppi abili lestofanti che piegano la giustizia e le sue leggi  ai loro  loschi interessi, si perde di vista la finalità globale alla quale la legge tende, i cavilli confondono, bloccano, favoriscono chi non va favorito,  bisognerebbe vigilare  e formare l’uomo anche sull’etica, l’esigenza morale è alla base della legge, senza morale il mondo è capovolto, destinato ad estinguersi. L’ingiustizia subita anche da un singolo uomo è il presupposto per un’ingiustizia sociale che toglie respiro all’umanità, annientandola, piegandola allo sconforto e all’impotenza. L’accademismo della giustizia può divenire un incubo, colui che giudica è posto dalla società al suo massimo grado, a lui è affidata la vita di un uomo, un lavoro difficile,  mai bisognerebbe dimenticare che un determinato giudizio ha come oggetto e soggetto un uomo con i suoi dolori, le sue sconfitte, le sue lotte, egli si mette nelle mani di quel giudice per chiedere giustizia.

Ma i Poveri Cristi a volte hanno poteri incredibili, quelli che nascono dalla libertà del proprio pensiero, dal rispetto delle regole sociali, dalla convinzione che lavorando bene ci si debba aspettare  giustizia. Possedere queste energie rende l’uomo invincibile!

 L’opera ci pone dolorosamente di fronte a questo interrogativo. Paolo Saggese, si aggrappa in preludio di ogni capitolo ai suoi amici scrittori-onesti come lui, con le loro parole poste a capoverso, quasi a chiedere conforto per meglio capire. Dove ho sbagliato?

L’autore parla di un concorso (non ben precisato, ma si comprende) al quale il personaggio principale si prepara, non chiede raccomandazioni, lavora, studia, trascurando ogni altro aspetto di vita, per mesi si impegna, notti insonni, non trascura nessun particolare. A nulla vale il suo impegno: è scartato. L’opera in nero  di come va il mondo, lo rifiuta, non sa che farsene di un uomo onesto e preparato. Quest’opera apparentemente vaga, anzi, volutamente leggera, è attraversata dall’ansia, un respiro doloroso in ogni parola, seppur  ben filtrati, quasi a non voler battere troppo forte su ciò che è successo, ma più il tono è “vago”, più il lettore si torce nella rabbia, nel dolore per l’ingiustizia subita. 

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