Recensione all’opera
di Carmen Moscariello
Il rovescio della
medaglia o del diritto rovesciato
La scrittura apparentemente “liscia”, un piccolo torrente
senza orgoglio, ma ci sono lì ad ogni inizio di paragrafo, i testimoni che in
brevi incisi dicono ciò che è giusto e vero e del quale non si è tenuto conto.
Come una mala bolgia ,ci sono i venti
amari dell’invettiva, di chi ha subito
un grave torto e non può far niente. Il suo sogno stroncato, ; un rielaborare nella storia di tipo
ossessivo gli eventi minimi; tutto è
stato curato: i sacrifici sono stati fatti; la stoffa della persona preparata
c’è, i luoghi e le persone raccontate nel senso bernhardiano, un ottuso
silenzio e la vana attesa di una giustizia che non c’è, l’impossibilità di
cambiare le cose rende il protagonista annientato.
E Talora alle foci solitarie dei
piccoli fiumi è una greggia che splende come una ghiaia ; e io guardo verso le
montagne dove forse un’altra greggia sabbevera alle sorgenti solitarie. Un
ampio greto discendendo dalle montagne è simile a un cammino di migrazione
abbandonato, simile al tratturo dei miei padri sterilito. E odo dentro di me
camminare i pastori defunti e i grandi armenti morti…E le ombre occupano la luce, lacerano
la coscienza e il greto è sterile, le acque stagnanti sono fetide.
Che cos’ è
un atto di ingiustizia?
Fino a qual
punto può divenire incubo, e, soprattutto, se cade per sempre la fiducia nella
giustizia, che sarà del mondo? Esso stesso
finirà in uno sterile fosso?
Il romanzo
di Paolo Saggese ci mette di fronte a queste problematiche e il suo stile è volutamente
calmo, apparentemente senza rabbia, ma fibbrila nell’incapacità di rassegnarsi.
lo sfogliare di sacrifici non gridati, posti lì ironicamente, quasi egli stesso
intenerito dall’ingenuità del suo credere
nella giusta ricompensa per chi lavora, per chi vale, per chi crede nella vita
e nel bene. Il suo comportamento è giusto, onesto, vigoroso, etico, nessun
potrà negargli ciò che di diritto gli spetta.
Il clima
grottesco, in qualche passaggio,
sottolinea anche la nullità dell’evoluzione: l’evoluzione non c’è, ciò che è
vero è il conformismo al male, alla raccomandazione, alla vittoria dei
disonesti. Bisognerebbe rompere gli schemi ,partire da altre sponde per
ricostruire il Paese, così’, con questi criteri, non può che morire.i
Alcuni uomini,
“I giusti” (per fortuna ce ne sono anche tra gli stessi giudici –eroi che
mettono a repentaglio la propria vita, perché la legge sia rispettata ) guidano
sicuri la strada del bene,ma sono troppo pochi.
Ma, il piccolo fiume, essenziale al gregge per
abbeverarsi, diviene spesso tomba per i pastori e il povero gregge muore,
perché prevalgono schematismi dettati solo dall’utile e da un individualismo e
obiettivismo sfrenat.
E’ un’opera
in nero questo romanzo, la coscienza arriva a mettere in crisi se stessa, mette
molta tristezza, poiché ognuno di noi potrebbe facilmente ritrovarsi o già si è
più volte ritrovato negli accadimenti
raccontati. Così “l’avventura di un povero cristiano” che non vive per niente
nel migliore dei mondi possibili , grida giustizia, vuole giustizia.
Spesso si
crede che la giustizia sia data solo dalle leggi, ma ci sono troppi abili lestofanti
che piegano la giustizia e le sue leggi ai loro loschi interessi, si perde di vista la
finalità globale alla quale la legge tende, i cavilli confondono, bloccano,
favoriscono chi non va favorito, bisognerebbe vigilare e formare l’uomo anche sull’etica, l’esigenza
morale è alla base della legge, senza morale il mondo è capovolto, destinato ad
estinguersi. L’ingiustizia subita anche da un singolo uomo è il presupposto per
un’ingiustizia sociale che toglie respiro all’umanità, annientandola,
piegandola allo sconforto e all’impotenza. L’accademismo della giustizia può
divenire un incubo, colui che giudica è posto dalla società al suo massimo
grado, a lui è affidata la vita di un uomo, un lavoro difficile, mai bisognerebbe dimenticare che un
determinato giudizio ha come oggetto e soggetto un uomo con i suoi dolori, le
sue sconfitte, le sue lotte, egli si mette nelle mani di quel giudice per
chiedere giustizia.
Ma i Poveri
Cristi a volte hanno poteri incredibili, quelli che nascono dalla libertà del
proprio pensiero, dal rispetto delle regole sociali, dalla convinzione che
lavorando bene ci si debba aspettare
giustizia. Possedere queste energie rende l’uomo invincibile!
L’opera ci pone dolorosamente di fronte a
questo interrogativo. Paolo Saggese, si aggrappa in preludio di ogni capitolo
ai suoi amici scrittori-onesti come lui, con le loro parole poste a capoverso,
quasi a chiedere conforto per meglio capire. Dove ho sbagliato?
L’autore
parla di un concorso (non ben precisato, ma si comprende) al quale il
personaggio principale si prepara, non chiede raccomandazioni, lavora, studia,
trascurando ogni altro aspetto di vita, per mesi si impegna, notti insonni, non
trascura nessun particolare. A nulla vale il suo impegno: è scartato. L’opera
in nero di come va il mondo, lo rifiuta,
non sa che farsene di un uomo onesto e preparato. Quest’opera apparentemente
vaga, anzi, volutamente leggera, è attraversata dall’ansia, un respiro doloroso
in ogni parola, seppur ben filtrati,
quasi a non voler battere troppo forte su ciò che è successo, ma più il tono è
“vago”, più il lettore si torce nella rabbia, nel dolore per l’ingiustizia
subita.
Nessun commento:
Posta un commento