sabato 20 ottobre 2018

Il contrario della paura












“Il contrario della paura”

“Perché terrorismo islamico e Mafia possono essere sconfitti”

di Franco Roberti, Mondadori.

Rilettura  dell’opera di Carmen Moscariello

“La società civile  è vista dalle mafie come una perfetta mammella da mungere”.[1]

                  

Un’opera in cui con maestria  l’autore traccia un percorso di vita al servizio dello Stato e nell’impegno della  lotta alla mafia. Roberti saggiamente realizza un rapporto intenso e costruttivo con il lettore, soddisfacendo le sue attese e indirizzandolo  verso la strada del coraggio e del bene sociale. L’irrequietezza cronologica alla quale assistiamo nel testo è dovuta a quest' urgenza. L’azione si svolge in vari luoghi del nostro Paese; ne prevalgono due: Sant’Angelo dei Lombardi con il terribile terremoto dell’ottanta e l’amata Napoli con la sua Storia da Vico, a Croce, a Masullo, senza dimenticare i lati oscuri e malati della città- amata. Un principio caratteristico dell’opera è il profondo senso del dovere, il rispetto della legge e dell’uomo. Franco  Roberti non si scaglia mai con veemenza contro la mafia, ma procede come se dovesse scalare un fortilizio, mattone dopo mattone, fino alla cima per annientarla e costringerla a non nuocere più. Un capitano (come l’ha giustamente definito Pierpaolo Filippelli).[2] che guida i suoi uomini verso un obiettivo chiaro, lo fa senza ombre, sempre nel vigile rispetto della Costituzione e delle leggi che regolano la vita civile del Paese. L’impulso che l’autore imprime all’opera è costante e determinato. Le sue strade sono ben delineate, il pericolo è  tenuto d’acconto, soprattutto per i suoi collaboratori che per lui nutrono rispetto e amore. Alla mano spietata della mafia contrappone l’ordine, il rispetto della vita umana: il carnefice deve cadere senza dispersione di sangue. Un peso determinante  lo occupano i fatti, non ci sono sbavature, tutto emerge chiaro, è il  racconto di una realtà dolorosa dove non ci si affida al buon Dio, ma alle leggi. Il movimento del vero si allarga nella pagina diviene mosaico costruito con pazienza, tassello dopo tassello; la memoir è la regina incontrastata, essa è referente di vita, ci invita a una lettura razionale, dove ogni parola è ben soppesata. Un palinsesto dove non ci sono défaillance, vaghi aneliti, sbavature, inutili sospiri o  attese ritardate. La realtà è amara, va affrontata subito; il male sradicato; la corruzione uccisa; mollare è pari alla morte.

L’invito a non cedere alla paura emerge da ogni parola,  da ogni capitolo. Il libro non ha niente di autoreferenziale, tanto che possiamo affermare che è limitativo definirlo  un’opera autobiografica, quello che è scritto ha per protagonista il coraggio di una squadra chiamata a fare il proprio dovere e il ruolo di Roberti è  di vigilare, guidarla, battere il pugno dove sia necessario. Rivelando che le crepe che si sono aperte nel nostro paese sono le stesse crepe dei muri che il terremoto produsse a Sant’Angelo dei Lombardi che fecero crollare le case dalle pareti di “marzapane”,  che uccisero migliaia di esseri umani inermi. Per questa tragedia Franco Roberti istruì un processo, con rammarico ci ricorda che furono tutti assolti.( Per me, da irpina, qual sono e resto, alla quale il terremoto tolse la casa e ogni bene,  la lettura di queste pagine ha riaperto una ferita dolorosissima).

“C’è stato un momento esatto della mia vita in cui, per la prima volta, ho cominciato a capire cosa significasse la parola mafia. Era domenica. Ed erano le 19,32 del 23 novembre del 1980. Il terremoto dell’Irpinia, uno dei più terribili e violenti dell’ultimo mezzo secolo. Da poco più di un anno ricoprivo la carica di giudice a Sant’ Angelo Dei Lombardi, un piccolo paese in provincia di Avellino, che da quel giorno ,inevitabilmente, è diventato un pezzo della mia vita.…… Arrivai a Sant’Angelo dei Lombardi la mattina del 25 novembre, a bordo della mia auto, in compagnia di mio cognato. Vidi quello che in quei giorni avevo sentito raccontate alla televisione, alla radio, sui giornali. Ma era molto di più, incomparabilmente di più di quanto era possibile soltanto immaginare: enormi crateri nel terreno avevano sconvolto il paesaggio circostante, la distruzione regnava ovunque, i militari dell’esercito erano giunti da poco sul luogo del disastro. Sant’Angelo era un cumolo di macerie sotto un cielo livido….. Convocai subito i verti ci della polizia giudiziaria. Qualche tecnico di cui sapevo potermi fidare. Cominciammo a fare qualche domanda. Mi dissero subito che il cemento che era servito a realizzare quei palazzi ,i costruttori l’avevano acquistato da Nuvoletta, una delle più importati famiglie camorristiche della zona. …. E che quel cemento fosse scadente, magari allungato con l’acqua… mi ricordo che, dopo pochi mesi dal sisma del 1980,arrestai per peculato il sindaco di Guardia dei lombardi. Poi ci furono altri arresti.  … Una domanda però continuava a rimbombarmi nella testa, senza tregua. Logorandomi. Perché i palazzi nuovi di Sant’Angelo si erano sbriciolati  come fossero stati di marzapane?.... Facemmo perizie accurate ,rinviammo a giudizio numerosi costruttori e pubblici amministratori perché avevano realizzato edifici che violavano la normativa antisismica…… Alla fine furono assolti.[3]  Un fatto che non doveva più accadere e che invece abbiamo visto ripetersi, con la medesima violenza,  durante il terremoto che ha distrutto l’Aquila, con altre morti, giovani morti. Sembra ritrovare nel testo la pragmatica delle comunicazioni di Bateson e la filosofia del linguaggio di Russell.  L’opera ha finalità etiche altissime, va letta e commentata nelle scuole soprattutto per educare le coscienze a qualcosa che la didattica moderna non tiene bene in conto: si può essere coraggiosi, si può divenire coraggiosi, si può educare al coraggio, parlare finalmente a testa alta di mafia, senza l’untuosa patina della compromissione. Emerge dall’opera  la forte condanna della corruzione e di come, a volte, uomini indegni  occupino, per nostra disgrazia,  ruoli che non gli competono e di come le mafie, oggi più che mai, siano  decise ad entrare  senza intermediari nelle amministrazioni dello Stato. Certe indagini di uomini eletti, (nel senso di egregi) hanno spesso messo in luce proprio questo delirio di onnipotenza, ad esse  non  basta più il denaro proveniente dalla spaccio di droga e dalle estorsioni, vogliono essere  dove si decidono gli appalti. Roberti, inoltre, sottolinea senza ombra di dubbio che l’indagine aperta da Giuseppe Pignatone  è un’indagine di mafia e che i reati  contestati sono reati di mafia, più esattamente ci dice: Veniamo a mafia capitale: qui intorno all’amministrazione della capitale d’Italia, si è creato un gruppo eterogeneo, fatto di criminali di strada, amministratori pubblici, imprenditori, che si è sostituito di fatto allo Stato. E ha deciso chi e come doveva governare la città Com’è stato possibile? “Proprio grazie a quella carica intimidatoria decisamente orientata al condizionamento della libertà di iniziativa dei soggetti imprenditoriali concorrenti nelle pubbliche gare” come dice la Cassazione. Mi spiego: tutti sapevano che dietro alcune aziende c’erano pericolosi pregiudicati. E tutti ne avevano paura. Quindi non partecipavano ai bandi, o rispettavano “quelle regole” , scrive sempre la Cassazione, la cui apparente imperatività è stata resa possibile solo grazie all’accumolo di una forza criminale ben conosciuta e temuta nella realtà sociale” Anche perché i mafiosi romani erano conosciuti anche dagli altri esponenti criminali, con i quali trattavano alla pari e decidevano come spartirsi il potere nella città. Tuttavia “Il nome”- e di conseguenza la paura che suscitava- non era l’unica arma utilizzata. La seconda, precisa spietata, più di un fucile da cecchino ad alta precisione, è sempre stata la mazzetta. …. Gli obiettivi erano intuibili : ottenere tramite la corruzione favori dai pubblici funzionarie, attraverso la continua violazione del patto di fedeltà da parte di un uomo delle istituzioni, determinare inevitabilmente ”la generale sfiducia della collettività nella imparzialità delle scelte compiute dagli organi amministrativi”[4] Più chiaramente ci ha spiegato e fatto ben capire questo libro il Professor Aldo Masullo  che lo ha presentato a Napoli  con altre illustre personalità.[i]   Ha esordito, partendo   da  un principio cardine del Suo Pensiero, quello della libertà: ”noi perseguiamo la libertà”,  ha sottolineato come questa categoria  appartenga  anche a  Franco Roberti e come queste pagine non siano di facile lettura. Egli precisa che nel nocciolo del discorso del nostro autore si affiancano due cose: terrorismo e mafia. Perché si possa vincere o resistere,  bisogna rompere la loro coesione.  Esse sono la  rappresentazione di come l’Italia  sia apparsa a costoro come  una  perfetta mammella da mungere. La società civile è diventata così  una mammella che la mafia munge. Aggiunge che  il livello di complessità a cui sono arrivate le cose è preoccupante. Si può meglio capire il fenomeno partendo da lontano, dagli anni 60, quando si  decise il finanziamento dei partiti con denaro pubblico. Da allora ebbe origine anche l’indebitamento del nostro Paese  e, cosa non meno terribile,  la corruzione. L’industria di stato dovendo pagare i partiti  portò all’alterazione dei mercati e a quell’indebitamento di cui siamo tutti vittime.  Il grande Filosofo precisa che cominciò così l’ incesto tra politica ed economia che favorì il prodursi di una serie di passività, a questo  corrisponde  un  processo di decadimento  istituzionale. La moltiplicazione dei centri di spese  contribuì a determinare il gravissimo debito pubblico. Continua l’Emerito Professore dall’altro canto, subito dopo la guerra, la criminalità si dedicò al contrabbando organizzato, un’enorme forza contro lo Stato . La quiescenza della Stato e dei cittadini contro questo crimine si manifestò in  un contorcimento sentimentale e morale,   diede luogo a processi solidali tra istituzioni, cittadini e criminalità. La tolleranza di certi comportamenti criminali, fece si che essi non fossero schiacciati fin dall’inizio. Tolleranza significò non punire, ed ecco perché andiamo, per le stesse cause di allora, incontro allo sfacelo e ci troviamo di fronte a un nemico esteso, così tremendo.  La tesi fondamentale è ,dunque, che    non riusciremo a resistere al terrorismo se per prima non riusciamo a combattere i difetti  interni. Infine, l’invito del Filosofo al pubblico e al popolo è di prendere coscienza di ciò che ci stanno preparando  e lottare, prima di ogni cosa, contro la corruzione. Il libro di  Franco Roberti  sembra che all’unisono con il grande Maestro metta il dito nella piaga, con dolore parla  di interventi necessari a Casal Di Principe,  per esempio, dove c’è oggi un buon sindaco con buoni amministratori, a dimostrazione che si può cambiare, qui, ora, finalmente, sarebbe necessario anche l’aiuto dello Stato per non naufragare di nuovo. Migliorare la situazione umana delle città attaccate da questo cancro è un dovere, come è preminente  favorire lo sviluppo di buone scuole, affinché i giovani non prendano strade pericolose, apparentemente agevoli.  Non a caso il convegno, voluto ed egregiamente organizzato  dall’Assessore alla Cultura Nino Daniele, si è  tenuto a Napoli nell’Istituto di Studi Filosofici, nei luoghi della  rivoluzione napoletana del 1799, nelle splendide sale del Palazzo Serra di Cassano  che  fu protagonista con Gennaro Serra di Cassano (giustiziato) della prima grande rivoluzione che affermò e  difese  il diritto dell’uomo alla libertà e all’autodeterminazione (Repubblica Napoletana). Emerge chiaro che  se Franco Roberti ha scritto questo libro, non è solo per far conoscere i danni che le mafie hanno provocato e provocano ai nostri territori, alle persone e all’economia  o per raccontarci ciò  che egli  ha fatto contro la mafia per distruggerla , ma piuttosto per coinvolgerci tutti, l’intera Nazione, giovani e meno giovani nel farci comprendere  quale pericolo tuttora  essa rappresenti e che la lotta e il sacrificio di pochi non bastano per annientarla: le parole di questo libro sono di fuoco, invitano il popolo tutto a ribellarsi a lottare contro di essa a isolarla nella sua melma. Il nocciolo per noi è il grido di dolore, seppur stemperato da una calma feroce dell’autore, nel richiamare il popolo intero a dire basta a un fenomeno che può annientare il Paese moralmente ed economicamente. In verità, mentre vicini ad Aldo Masullo ascoltavamo le Sue analisi, per niente stemperate, nonostante il Suo ’est modus in rebus” che è il vestito d’organza  del  grande Relatore, esse ci giungevano giusto al petto , come cannonate. Mentre Lo ascoltavamo,   abbiamo pensato in contemporanea a un altro grande della storia a Papa Wojtyla, alle parole che leggemmo sul Corriere della sera, poco dopo l’assassinio dei Martiri  Falcone e Borsellino, anche allora nella Valle dei Templi risuonarono parole forti che avrebbero dovuto cambiare le nostre coscienze :  “Non abbiate paura” urlò il Papa (sembra che il libro  “Il contrario della paura”, faccia eco al grande Papa) «Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio». (Parole pronunziate contra la mafia ad Agrigento, il 9 maggio del 1993).
 Questo invito ce lo ripropone Roberti con pari energia ne ”Il contrario della paura” con l’inchiostro del coraggio di chi ha messo la propria vita al servizio dello Stato.  Con questo suo lavoro vuole scendere tra la gente  e chiedere a tutti il massimo della collaborazione, pochi uomini coraggiosi possono fare molto, ma ancora di più possono realizzare, se noi gli stiamo accanto, li sosteniamo, anche noi col nostro coraggio.  Quella “cappa”[5] che si forma in tutti i luoghi in cui si sono annidati i mafiosi, è morte, è incapacità di sentirsi liberi. La schiera di accoliti, povera gente e  potenti di turno,  che appoggiano la mafia   ha gravi responsabilità. Ricordo le parole di un altro grade Magistrato dell’antimafia Federico Cafiero De Raho, parole che ascoltai nelle sale del vecchio tribunale di Porta Capuana , qualche mese prima di essere trasferito in Calabria,  alla presenza della ministra, disse che anche l’appoggio esterno alle mafie  va punito con la galera, con molti  anni di carcere. E, ancora, l’ ”Urlo” [6] di  Papa Wojtyła, così poco riproposto oggi  dai potenti mezzi di comunicazione rimane inequivocabile: «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane devono capire, devono capire che non è permesso uccidere gli innocenti. Dio ha detto “Non uccidere”. L’ uomo, qualsiasi umana agglomerazione o la mafia, non possono cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano talmente attaccato alla vita, un popolo che ama la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà della morte. Lo dico ai responsabili. Convertitevi». “La civiltà  della morte” ha preso piede nel mondo intero. Assistiamo alla strage degli innocenti che ogni giorno coinvolge popoli interi nel dolore. Sulle spalle di Franco Roberti non c’è solo la mafia,  egli non è “solo” il Procuratore Nazionale Antimafia, alla sua persona, alla sua luminosa intelligenza è stata affidata anche la lotta al terrorismo. Alla luce di ciò dobbiamo credere nel  dialogo e al valore della cultura, in quanto  è  urgente rieducare l’uomo. Ci sono  popoli interi che vanno  ripensati e ricostruiti. C’è l’urgenza di un rinnovamento della politica, orientandola sempre di più alla ricerca del bene comune  e non già gestita, come le cronache ci raccontano,  da persone che hanno come unico obiettivo il proprio tornaconto, senza parlare della corruzione e della commistione con le mafie, vera rovina dei territori, annientamento anche di città bellissime dove  il cancro si estende,  silente mette radice per poi annientare. (Testo tratto da cultura e prospettive)


[1] Aldo Masullo al convegno tenutosi a Napoli il 29 giugno per la presentazione del libro di Franco Roberti “Il contrario della paura”.
[2] Pierpaolo Filippelli, giovane e coraggioso  magistrato ha fatto parte della squadra guidata da Franco Roberti. Oggi, dopo aver lavorato a lungo come magistrato nella DDA di Napoli ,è Procuratore aggiunto di Torre Annunziata.
[3] Pgg. 52,53,54,55  (Paragrafo: ”Quando il terremoto diventa business”, Op. Ct.
[4] Pg 129-130, “Il contrario della paura”.
[5] Paragrafo: “La cappa”, pg.61, Op.Ct.
[6] Munch, “L’Urlo”




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