“Lettera a un
giudice” Racconto fantastico sulla
corruzione di Paolo Saggese
Rilettura delll’opera
di Carmen Moscariello
Talora alle foci solitarie dei
piccoli fiumi è una greggia che splende come una ghiaia ; e io guardo verso le
montagne dove forse un’altra greggia sabbevera alle sorgenti solitarie. Un
ampio greto discendendo dalle montagne è simile a un cammino di migrazione
abbandonato, simile al tratturo dei miei padri sterilito. E odo dentro di me
camminare i pastori defunti e i grandi armenti morti
Chi può dire
dove tramonta il sole?
E le ombre
occupano la luce, lacerano la coscienza e il greto è sterile, le acque stagnanti
sono fetide.
Che cos’ è
un atto di ingiustizia? Fino a qual punto può divenire incubo e, soprattutto,
se cade per sempre la fiducia nella giustizia,che sarà del mondo? Esso
stesso finirà in uno sterile fosso?
Il romanzo
di Paolo Saggese ci mette di fronte a queste problematiche e il suo stile è volutamente
calmo, senza rabbia; lo sfogliare di sacrifici non gridati, posti lì
ironicamente, quasi egli stesso intenerito per il suo credere nel giusto fine: se il suo
comportamento è giusto, onesto, vigoroso, etico, nessun potrà negargli ciò che
di diritto gli spetta.
Alcuni
scrittori, poeti, “I giusti” (per fortuna ce ne sono anche tra gli stessi
giudici che mettono a repentaglio la propria vita, perché la legge sia
rispettata ) guidano sicuri la loro esistenza verso la strada della giustizia, dell’onestà,
convinti che non ne esista altra , scelta se non la distruzione di se stessi. Ma, il piccolo
fiume essenziale al gregge per abbeverarsi, diviene spesso tomba per i pastori
e il povero gregge muore. Senza la giustizia, prevalgono i furbi, i
raccomandati buoni a nulla, tutta una società malata e confusa che non ricorda
neanche la strada del bene e reputa l’uomo onesto un povero stupido da frodare.
E’ un’opera
in nero questo romanzo, mette molta tristezza, poiché ognuno di noi potrebbe
facilmente ritrovarsi o già si è più volte ritrovato negli accadimenti raccontati. Così
“l’avventura di un povero cristiano” che non vive per niente nel migliore dei
mondi possibili , grida giustizia, vuole giustizia.
Spesso si
crede che la giustizia sia data solo dalle leggi, ma ci sono troppi lestofanti
che piegano la giustizia e le sue leggi ai loro loschi interessi, si perde di vista la
finalità globale alla quale la legge tende,i cavilli confondono, bloccano,
favoriscono chi non va favorito, bisognerebbe vigilare e formare l’uomo anche sull’etica, senza
morale il mondo è destinato ad estinguersi.
Degli
ingenui? Degli eroi? Dei poveri cristi? I furbi opterebbero sicuri per l’ultimo
giudizio .
Ma i Poveri
Cristi a volte hanno poteri incredibili, quelli che nascono dalla libertà del
proprio pensiero, dal rispetto delle regole sociali, dalla convinzione che
lavorando bene ci si debba aspettare
giustizia.
Questa
sconosciuta? L’opera ci pone dolorosamente di fronte a questo interrogativo.
Paolo Saggese, si aggrappa in preludio di ogni capitolo ai suoi amici
scrittori-onesti come lui, con le loro parole poste a capoverso, quasi a
chiedere conforto per meglio capire. Dove ho sbagliato?
L’autore
parla di un concorso (non ben precisato, ma si comprende) al quale il
personaggio principale si prepara, non chiede raccomandazioni, lavora, studia,
trascurando ogni altro aspetto di vita, per mesi si impegna, notti insonni, non
trascura nessun particolare. A nulla vale il suo impegno: è scartato. L’opera
in nero di come va il mondo, lo rifiuta,
non sa che farsene di un uomo onesto e preparato. Quest’opera apparentemente,
anzi volutamente leggera, ma l’ansia l’attraversa in ogni parola, seppur ben filtrata, quasi a non voler battere troppo
forte su ciò che è successo, ma più il tono è “vago”, più il lettore si torce
nella rabbia, nel dolore per l’ingiustizia subita.
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