giovedì 25 ottobre 2018


“Lettera a un giudice”  Racconto fantastico sulla corruzione di Paolo Saggese



Rilettura delll’opera di Carmen Moscariello

Talora alle foci solitarie dei piccoli fiumi è una greggia che splende come una ghiaia ; e io guardo verso le montagne dove forse un’altra greggia sabbevera alle sorgenti solitarie. Un ampio greto discendendo dalle montagne è simile a un cammino di migrazione abbandonato, simile al tratturo dei miei padri sterilito. E odo dentro di me camminare i pastori defunti e i grandi armenti morti

Chi può dire dove tramonta il sole?

E le ombre occupano la luce, lacerano la coscienza e il greto è sterile, le acque stagnanti sono fetide.

Che cos’ è un atto di ingiustizia? Fino a qual punto può divenire incubo e, soprattutto, se cade per sempre la fiducia nella giustizia,che sarà del mondo? Esso stesso  finirà in uno sterile fosso?

Il romanzo di Paolo Saggese ci mette di fronte a queste problematiche e il suo stile è volutamente calmo, senza rabbia; lo sfogliare di sacrifici non gridati, posti lì ironicamente, quasi egli stesso intenerito per il suo  credere nel giusto fine: se il suo comportamento è giusto, onesto, vigoroso, etico, nessun potrà negargli ciò che di diritto gli spetta.

Alcuni scrittori, poeti, “I giusti” (per fortuna ce ne sono anche tra gli stessi giudici che mettono a repentaglio la propria vita, perché la legge sia rispettata ) guidano sicuri la loro esistenza  verso la strada della giustizia, dell’onestà, convinti che non ne esista altra , scelta se non  la distruzione di se stessi. Ma, il piccolo fiume essenziale al gregge per abbeverarsi, diviene spesso tomba per i pastori e il povero gregge muore. Senza la giustizia, prevalgono i furbi, i raccomandati buoni a nulla, tutta una società malata e confusa che non ricorda neanche la strada del bene e reputa l’uomo onesto un povero stupido da frodare.

E’ un’opera in nero questo romanzo, mette molta tristezza, poiché ognuno di noi potrebbe facilmente ritrovarsi o già si è più volte ritrovato  negli accadimenti raccontati. Così “l’avventura di un povero cristiano” che non vive per niente nel migliore dei mondi possibili , grida giustizia, vuole giustizia.

Spesso si crede che la giustizia sia data solo dalle leggi, ma ci sono troppi lestofanti che piegano la giustizia e le sue leggi  ai loro  loschi interessi, si perde di vista la finalità globale alla quale la legge tende,i cavilli confondono, bloccano, favoriscono chi non va favorito,  bisognerebbe vigilare  e formare l’uomo anche sull’etica, senza morale il mondo è destinato ad estinguersi.

Degli ingenui? Degli eroi? Dei poveri cristi? I furbi opterebbero sicuri per l’ultimo giudizio .

Ma i Poveri Cristi a volte hanno poteri incredibili, quelli che nascono dalla libertà del proprio pensiero, dal rispetto delle regole sociali, dalla convinzione che lavorando bene ci si debba aspettare  giustizia.

Questa sconosciuta? L’opera ci pone dolorosamente di fronte a questo interrogativo. Paolo Saggese, si aggrappa in preludio di ogni capitolo ai suoi amici scrittori-onesti come lui, con le loro parole poste a capoverso, quasi a chiedere conforto per meglio capire. Dove ho sbagliato?

L’autore parla di un concorso (non ben precisato, ma si comprende) al quale il personaggio principale si prepara, non chiede raccomandazioni, lavora, studia, trascurando ogni altro aspetto di vita, per mesi si impegna, notti insonni, non trascura nessun particolare. A nulla vale il suo impegno: è scartato. L’opera in nero  di come va il mondo, lo rifiuta, non sa che farsene di un uomo onesto e preparato. Quest’opera apparentemente, anzi volutamente leggera, ma l’ansia l’attraversa in ogni parola, seppur  ben filtrata, quasi a non voler battere troppo forte su ciò che è successo, ma più il tono è “vago”, più il lettore si torce nella rabbia, nel dolore per l’ingiustizia subita. 

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