Un docu-film
ricorda la figura di Carlo Alberto dalla Chiesa, a trent’anni
dall’attentato di via Carini, in cui morì insieme alla moglie Emanuela
Setti Carraro e all’agente Domenico Russo
Palermo, 3 settembre 1982, ore 21,15: alcune raffiche di Kalashnikov AK-47 vengono esplose in via Carini contro una A112 bianca, su cui viaggiano Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro, uccidendoli. Poco lontano l’agente di scorta, Domenico Russo, viene affiancato da una motocicletta: per lui una sola raffica, precisa e veloce. Affinché non parli, affinché il lavoro sia completo. La strage sconvolge l’opinione pubblica. La politica trema, si indigna e si dibatte fra segreti, illazioni e dichiarazioni di circostanza. Più tardi saranno condannati all’ergastolo, come mandanti,
Bernardo Brusca, Pippo Calò, Nenè Geraci, Michele Greco, Bernardo
Provenzano e Totò Riina. Esecutori materiali, condannati in primo grado
nel 2002, Francesco Paolo Anzelmo, Vincenzo Galatolo, Calogero Ganci e
Antonino Madonia. Sulla bara, nella chiesa di San Domenico a Palermo, sono tolte le corone di fiori e lasciati soltanto il tricolore, la sciabola e il berretto.
Gli inizi e la carriera – Nato a Saluzzo (Cuneo) nel 1920 da Romano dalla Chiesa, vicecomandante generale dell’Arma dei carabinieri, dopo aver combattuto in Montenegro come sottotenente dell’esercito (1941), Carlo Alberto viene mandato a guidare la caserma di San Benedetto del Tronto fino all’armistizio. Dal 1943 fino alla fine della guerra opera in clandestinità,
coadiuvando le operazioni della Resistenza e rifiutandosi di
partecipare alle operazioni, coordinate dalle truppe naziste, per
l’arresto dei partigiani. Inviato a Bari, riesce a conseguire due
lauree, una in Giurisprudenza e una in Scienze politiche, e sposa la prima moglie, Dora Fabbo. Dagli anni ’60 agli anni ’80, fra Milano, Roma, Firenze, Casoria e la Sicilia, vive e opera in territori difficili, prima nelle Forze repressione banditismo agli ordini del generale Ugo Luca, poi nel Nucleo speciale antiterrorismo e, infine, nei quartieri palermitani: in un dialogo continuo con la gente, il generale smantella, con grande fatica per mancanza di aiuti e attenzione da parte delle stesse istituzioni, raffinerie di eroina, irrompendo con successo durante incontri e summit mafiosi.
La lotta al terrorismo – Diventato nel 1974 comandante della regione militare
Nord-Ovest (comprendente Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta), dalla
Chiesa s’impegna a fondo nella lotta contro l’eversione e, grazie al
Nucleo speciale antiterrorismo, riesce a far catturare Renato Curcio e
Alberto Franceschini, capi delle Brigate rosse. Nel 1977 diviene
coordinatore del Servizio di sicurezza degli Istituti di prevenzione e
pena; l’anno seguente, promosso generale di divisione, coordina le Forze
di polizia e degli Agenti informativi per la lotta contro il
terrorismo, riuscendo a scoprire il covo brigatista di via
Monte Nevoso a Milano, in cui viene rinvenuto il memoriale di Aldo
Moro. Nel 1979 gli viene affidato il comando della divisione Pastrengo e
nel dicembre 1981 viene nominato vice comandante generale dell’Arma dei
carabinieri. Nel 1982, divenuto prefetto di Palermo, continua – a quel che sostengono numerose inchieste giornalistiche – a indagare con profitto sul delitto Moro, ma viene giustiziato da Cosa Nostra con un efferato attentato.
Ciò che rimane – Per ricordare Carlo Alberto dalla Chiesa, lunedì 3 settembre 2012, alle ore 21, nella sala Alessi di Palazzo Marino a Milano, si è svolta la proiezione del docu-film Generale. Rivivendo Carlo Alberto dalla Chiesa, regia e sceneggiatura di Lorenzo Rossi Espagnet. Dora dalla Chiesa, che non ha mai conosciuto il nonno, con la puntigliosità e l’affetto di chi viene “dopo” e
con l’aiuto dei familiari, dei luoghi e delle immagini, ha ricostruito
il mondo intero di un uomo che ha dedicato la vita alla legalità nel
senso più laico del termine. Dal film emerge un personaggio integerrimo, a tratti severo, mai rigido, che dal suo lavoro ha ricavato la passione della vita. Uno statista vero e proprio, non solo semplice esecutore delle leggi, ma capace di maturare un’idea di Stato in grado di includere ogni attore della vita sociale, convinto che «c’è troppa gente onesta, tanta gente qualunque» in Italia (la citazione è tratta da Nando dalla Chiesa, Delitto imperfetto, Editori Riuniti) disposta a credere nell’onestà. Uno dei padri dello Stato, seppure coi suoi difetti, ma sempre di cuore e disciplinato. Un uomo di una tenerezza estrema, per il quale la mafia, la corruzione e il terrorismo non sono niente altro che il frutto della debolezza delle istituzioni in un Paese che ha bisogno di legalità e di garanzia dei diritti.
Matteo Tuveri
(LucidaMente, anno VII, n. 81, settembre 2012)
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