Dispiace per il destino dell'
Istituto Studi Filosofici e certamente l'immagine emaciata, un
po' decrepita di Gerardo Marotta, che sprofonda con i suoi libri
in un maelström senza ritorno, testimonia la tragicità
della situazione, oltre all'eroica, nobile impresa portata
avanti negli anni da questo indomito vegliardo innamorato della
filosofia. Certo anche lui non è esente da colpe (nessuno di noi
lo è), ma in momenti come questo bisogna schierarsi a difesa
dell'Idea, senza indulgere all'analisi spietata delle
responsabilità. Di quella Università che oggi Marotta addita
come principale responsabile della "ruina" dell'Istituto, egli è
stato complice consapevole e pertinace. Sono certo che si è
trattato di una necessità, che nel corso degli anni si sia
presentata ai suoi occhi come l'unica possibilità di
sopravvivere, ma non può non suonare tardivo e un po' ipocrita
questo "J'accuse" finale. All'Università egli si è
appoggiato, facendosi trascinare nella logica spartitoria e
ricattatoria di alcuni baroni autoctoni, che si sono serviti
dell'Istituto a loro piacimento, e se parlo così, lo faccio a
ragion veduta. Non lo condanno: probabilmente le dolorose scelte
determinate dalle necessità economiche che si è trovato a
fronteggiare, lo hanno posto dinanzi ad una cruda alternativa:
soccombere o cedere, un passo alla volta, ai compromessi e alle
imposizioni degli accademici. Si badi bene, ciò va visto come un
ulteriore motivo di vanto. Sarebbe stato facile, con un atto
d'orgoglio, compiere un gesto eclatante di rifiuto nei confronti
di questi piccoli aiuti "usurai", che gli consentivano di
resistere, decretando però la fine di una entusiasmante impresa,
che rimarrà in ogni caso indelebile nella storia della cultura
di Napoli e dell'intero Paese, per non andar oltre. Sarebbe
stato certo più facile ribellarsi una volta per tutte contro le
piccole, dolorose umiliazioni sopportate, con l'unico intento di
difendere con i denti il lavoro e i sacrifici di un'intera vita.
Invece, tante chiacchiere e pochi fatti, un passo dopo l'altro,
un cedimento dopo l'altro hanno finito (e la politica è
spietatamente abile a mettere in atto questa strategia di
asservimento) per determinare il suo completo accerchiamento,
fino all'attuale, ennesimo disperato appello. L'Istituto va
salvato a tutti i costi e va dato atto a Marotta dell'eroismo
della sua impresa, ma è anche vero che per dare una prospettiva
futura a questo progetto, per far si che non rimanga un'impresa
personale e isolata, che si esaurisca con la vicenda umana del
suo creatore, è necessario un progetto di ben altro respiro. Non
basta un ulteriore, limitato reperimento di fondi per permettere
in extremis il salvataggio di una sia pur mirabile biblioteca o
delle vetuste e gloriose stanze di un palazzo. Sono sicuro che
lo stesso Marotta abbia le idee chiare su a chi affidare la sua
eredità. Pur celebrando, come è giusto, il ricordo delle voci
illustri che hanno echeggiato nelle antiche sale del palazzo
Serra di Cassano, non bisogna dare l'immagine di qualcosa che
voglia sopravvivere inalterato nella sua vetustà, senza
adeguarsi ai tempi. Perché oggi la filosofia è tutt'altro che
morta, anzi è in piena rifioritura, grazie anche all'apporto di
tecnologie che consentono nuove forme di comunicazione. Bisogna
lottare, perciò, per un nuovo Istituto, aprioristicamente libero
dalle ingerenze "politiche" di una Università allo sbando. E'
un'impresa possibile? Noi, strenui difensori del sapere in tutte
le sue forme, abbiamo comunque il dovere di provarci, con la
stessa convinzione che faceva dire al Nolano: "ora che siamo
stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la feccia
delle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi
et opre, possiamo certo aspettare de ritornare a meglior stati".
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