di Carmen Moscariello
“Il
Bertolucci ha quel che si dice un temperamento; ha vena, fantasia, respiro”.
Così Montale recensiva una delle prime opere poetiche di Attilio Bertolucci
“Fuochi in novembre” e consacrava la nascita di uno dei più grandi poeti
del nostro tempo.
Nato a
Parma nel novembre 1911, legato da profonda amicizia a Vittorio Sereni, Mario
Luzi, Giacinto Spagnoletti, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Alberto Moravia,
Sandro Penna, Giorgio Bassani (antico compagno d’Università), ha contribuito
non poco alle svolte culturali ed artistiche del nostro Novecento. Tuttavia, la
sua poesia rimane un canto unico e lontano dalle altre voci ermetiche e dalle
Neoavanguardie della seconda generazione. Sembra infatti prevalere, fin dagli
esordi, una ricerca profonda di toni umili. Il raffinato lessico e lo
sperimentalismo dei poeti lombardi o toscani, suoi coetanei, sono completamente
estranei al suo mondo poetico che rimane fuori dai temi ideologici del suo
tempo.
Fin
dai primi volumi “Sirio” (1929) e “Fuochi in novembre” (1934), l’opera
poetica di Bertolucci rivela un gusto evocativo legato al mondo agreste e alle
piccole voci quotidiane. Un crepuscolarismo che lo avvicina al Montale minore e
che lo porterà più tardi alla creazione di una poesia non priva di originalità
e unica per la limpidezza del suo verso. Queste prime due opere rappresentano
dunque l’inizio di un monologo mai interrotto con il proprio io, “il beato
egoista” (così lo chiamava Vittorio Sereni per il grande amore del poeta
verso la sua famiglia) non manca però di “colpi d’ala” (Montale) che
fanno presagire fin dal lontano 1934 svolte nuove per la poesia italiana.
Nell’intervento sulla rivista “PAN” (Firenze), ancora Montale ci proponeva
versi come questi: Mi ha svegliato il tuo canto-solitario/ triste amica/
dell’ottobre, innocente civetta./ Era la notte,/ Brulicante di sogni come
api;/ (La notte d’ottobre).
Molte
delle composizioni di “Sirio” e “Fuochi in novembre”, il Poeta le farà
più tardi confluire nella “Capanna indiana” (1951), un’opera di più
ampio respiro anche se non si avvertono fratture evidenti di contenuto e di tono
con le raccolte precedenti. D’altronde, il Poeta, includendo nella “Capanna
indiana” le prove giovanili, intendeva forse sottolineare l’unità di
ispirazione di tutta la sua poesia. Qui lo spirito “virgiliano” di
Bertolucci avviato alla maturità si manifesta nel desiderio di cogliere le
minime vibrazioni del tempo. Il verso ampio diventa descrittivo per meglio
esprimere lo stato di stupore e di attesa. Quei colori accesi che a volte
potevamo notare in “Sirio” assumono definitivamente le sfumature autunnali e
si avviano ad una monocromatica musicalità suadente non priva di una sottile
ansia: “La mattina dei nostri anni perduti,/ i tavolini nell’ombra
soleggiata dell’autunno,/ i compagni che andavano e tornavano, i compagni/ che
non tornarono più…/. Il contenuto diaristico de “La capanna indiana” è
sempre riscattato da una grande delicatezza e autenticità del sentimento, reso
più intenso proprio in virtù del verso “spoglio”. Non meno mordente della
raccolta è il leit-motiv della vita familiare: “Era l’ora che dietro le
persiane/ la famiglia si desta amaramente,/ l’ultima mosca ronza moribonda/
nella chiusa cucina ove la brace/ dei primi fuochi autunnali dura/ sino alla
prima donna frettolosa,/ giovane strega, montanara falsa”. Gli accenti
intimistici di questa poesia hanno ben poco in comune con lo scenario raffinato,
letteratissimo di un Quasimodo, di Luzi, Parronchi o un Bigongiari; e tuttavia
Bertolucci dalla sua chiusa soggettività fa scaturire un concerto di voci e la
sillabazione discreta e il modo quasi svagato di raccontare per immagini, nulla
tolgono alla purezza del verso.
Il
poema autobiografico si amplia con “Lettere da casa” (1951) e “In un tempo
incerto” (1955). Soprattutto in questa ultima opera prevale il senso
discorsivo con proposizioni e periodi più lunghi e con una serie di coordinate
e subordinate che fanno scivolare senza attrito la poesia nel romanzo evocativo.
L’assenza di punteggiatura e l’uso di enjambements in “Viaggio
d’inverno” (1971) nulla toglie al racconto e al monologo che cresce
d’intensità. Avvertiamo anche un’adesione simpatetica e un amore
“francescano” (più che la generica “pietas” segnalata dalla critica più
avveduta) del Poeta per il mondo: “avete visto due fratelli, l’uno/ di
quindici l’altro di dieci anni, lungo/ il fiume intento il primo a pesca, il
secondo a servire con pazienza e gioia? Il sole pomeridiano colora/ i visi così
simili e diversi/ come una foglia a un’altra foglia nella/ pianta, una viola a
un’altra viola in terra./ Oh se durasse eternamente questa mattina che li
svela e li nasconde/ come erra la corrente tranquilla,/ e li congiunge sempre se
un silenzio/ troppo dura fra loro e li opprime/ così da cercarsi a una voce e
trovarsi, intatte membra, intatti cuori, rami/ che la pianta trattiene
strettamente/.”
Si
noti in questi versi come Bertolucci passi dal tono colloquiale a un lirismo
sempre più intenso. Le coordinazioni dei polisindeto servono ulteriormente a
rendere sinergici aspetti della natura e quelli umani. Inoltre, nella seconda
parte, la punteggiatura sempre più sporadica intensifica le emozioni che si
sovrappongono. La fluente commozione del Poeta risulta chiara fin dalla seconda
strofa e va via via accentuandosi senza che il campo semantico perda di modestia
e di semplicità tonale.
L’auscultazione
della vita nelle pieghe più segrete raggiunge la massima felicità espressiva
nell’ultima opera in versi “La camera da letto” (1984-1988). La storia
vissuta dall’autore si fa epicamente, direttamente poema e gli affetti
familiari finiscono per occupare un ruolo centrale e totalizzare le vocazioni.
Il tempo proustiano che ha inebriato i ritmi della sua vita e dei suoi versi,
qui diventa accorata attesa di un Assoluto instancabilmente perseguito con
discrezione, una sorta di parabola che prelude il miracolo. Così che poesia e
prosa si uniscono in una sintesi imprevedibile per gli effetti di chiarezza, di
immediato confluire delle sensazioni: “…Le nuvole/ non s’erano fermate,
bisognava andare avanti, era sempre Appennino profondo anche se altri/ mandriani
più miti già vi avevano/ cresciuto agnelli e figli: non poteva/
quell’infinito ondulare di valli/ celesti nel silenzioso mezzogiorno/
deluderli in eterno, mentre il vento/ si placava, declinando/ il giorno sui
crinali in un calore/ cui conveniva accucciarsi, cavando/ pane e formaggio per
la cena./ Poi venne un’ora limpidissima, l’ora/ del pastore/ che passa su
ogni cime uno smeriglio/ di luce solitaria: ma le valli/ questa volta non
echeggiano del suono/ cristiano che aiuta ad affrontare/ la notte.”
Questo
preludio dell’opera ha la stessa modulazione di un “overture” verdiana, lì
dove il senso del misterioso coinvolge ipnoticamente il lettore conducendolo in
un universo di meraviglie sospeso tra fiabesco e quotidiano. Infine nella
pubblicazione della Garzanti “ARITMIE” (1992) i battiti del cuore di
Bertolucci trovano realizzazione non solo nella poesia, ma anche in una
variopinta e vertiginosa mole di interessi culturali. Qui la stetoscopica
auscultazione, non solo del muscolo cardiaco, offre un ampio panorama degli
interessi dell’artista per il cinema, per l’arte, per la musica, per la
poesia classica, francese e inglese. In questa “summa” si raccolgono tutte
le esperienze culturali di mezzo secolo di vita, “un’autobiografia
letteraria”, dunque, comprendente saggi, recensioni, articoli, incontri.
Vittorio
Sereni, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Roberto Longo sono alcuni dei
personaggi raccontati con giovialità e freschezza da Bertolucci. E ancora “le
intermittenze del cuore” che esplodono improvvise e incontrollabili, portano
il Poeta ad evocare la sua Parma, la Versilia, Busseto. Una descrizione
minuziosa dove la geografia dei luoghi si arricchisce della presenza di figure
familiari, di ricordi letterari ed artistici intensi.
Quella
musicalità monodica che abbiamo colto nelle raccolte di poesia si trasforma in
quest’opera in una polifonia di stili e di temi. Spesso il titolo iniziale dei
numerosi paragrafi è solo l’occasione per oltrepassare le “Colonne
d’Ercole” e guidare lo spirito nell’armonia pulsante.
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