di Carmen Moscariello
Ci è difficile pensare a Vittorio
Foa che rievoca il passato, come avviene nella sua pubblicazione “Il cavallo e
la torre, (Einaudi, pag.350, 1992).
I suoi
ottant’anni sono stati sempre una proiezione verso il futuro: ultima sorpresa
la riservò a Formia solo qualche mese fa’ quando si accompagnò a Leoluca
Orlando per discutere di mafia e camorra e di progetti (appunto) per il futuro.
Un’ideologia
che non ha conosciuto schemi, ma si è sempre rigenerata sui principi etici e la
cui militanza politica è stata solo il mezzo di collegamento con la realtà.
Curioso
dell’uomo, soffre di certo in questa fase storica chiusa nell’imbuto
infernale della corruzione e della partitocrazia.
Alla recherche
du temps, come Proust ha ancora molto da dire e alla sua recente opera è
testimonianza di libertà, non nel senso astratto del termine, ma come volontà
di attuazione del bene (tutta la sua vita è stata vissuta all’impronta della
libertà).
Mossa
frontale ancora una volta per rimuovere e ricostruire ciò che l’errore e
la mancata lungimiranza dell’uomo ha deturpato o distrutto. Ma, il libro è
anche testimonianza di pazienza, di tenacia per ammorbidire gli ostacoli e
convincere l’animo a lottare con più forza.
Queste le
strategie indicate nell’opera dove i ricordi personali si mescolano alla
storia: mezzo secolo raccontato e ricostruito in una freschezza di immagini mai
disgiunte dall’umanità profonda e palpitante.
Parlare
con Foa, nonostante la semplicità e la disponibilità dell’uomo, è sempre
una grande emozione.
Più gli
anni passano e più aumenta la sua vitalità e il suo impegno sociale.
Sorprendente per la sua fiducia nella vita e nella storia, ci traccia in questa
intervista un quadro chiaro della situazione attuale sia riguardo ai recenti
episodi di razzismo, sia per tutto ciò che attiene alla vita politica ed
economica del nostro paese.
Vittorio
Foa condannato dal tribunale speciale del fascismo a quindici anni di reclusione
per cospirazione contro il partito fascista, rimase in carcere ininterrottamente
per nove anni. Fu amico di Leone Ginzburg, che lo introdusse nella cospirazione
del gruppo torinese di “Giustizia e Libertà”.
E’ stato
uno dei padri della nostra Costituzione e ha ricoperto importanti incarichi
sindacali e politici. Ricordiamo anche la sua recente pubblicazione “Il
cavallo e la torre” che ha ricevuto ampi consensi di critica e che è una
delle massime testimonianze sulla Resistenza, sul Fronte Popolare, sul
Sessantotto e sulla storia della sinistra italiana.
-
Le sue origini ebree le fanno sentire
certamente sulla pelle i recenti atti di razzismo e di intolleranza semitica.
Come pensa si debba arginare questo fenomeno?
“Bisogna stare attenti a non fraintendere
questi fatti. Gli episodi più tragici del razzismo si sono verificati con una
volontà politica dello Stato e della Chiesa, in questo momento questa raccordo
verticale o un’organizzazione persecutoria non esiste. In Germania non c’è
una volontà politica, ho una certa fiducia, anzi ne sono sicuro che la Germania
moderna non è quella di ieri. Dopo cinquant’anni di sviluppo credo che la
Germania abbia la possibilità di controllare le forze negative. Comunque
ritengo che quelle forme di intolleranza razzista vadano represse con forza, non
si deve essere possibilisti o indulgenti verso di esse. Bisogna colpirle
duramente”.
-
Usciremo dalla crisi economica che
attanaglia il Paese e quali speranze ci sono per i lavoratori?
“Questo è un momento molto difficile per i
lavoratori, però io penso che le nostre risorse sono di gran lunga superiori
alle esigenze necessarie per uscire da questa crisi. Noi siamo in realtà uno
dei paesi più ricchi del mondo: dobbiamo fare dei sacrifici per un certo
periodo, ma io penso che in un anno e mezzo o due potremmo uscirne. Non sono
catastrofico, credo che la politica di governo è stata una politica di spreco,
purtroppo a pagare sono sempre i più deboli”.
-
Come interpreta il caso Ligato?
“Vorrei fare osservare che le cose che
succedono oggi, bene o male le sapevamo: erano a livello di una conoscenza
imperfetta, tenue. Quando vengono fuori, noi diciamo: chi non immaginava che
Ligato era legato alla malavita calabrese, chi non immaginava che tra la
politica e la ndrangheta c’erano molti rapporti? In fondo la magistratura di
Palmi aveva già individuato una serie di cose. Io do preferenza al fatto che i
politici possono finalmente andare in galera. Fino a poco tempo fa era come una
legge scientifica che il politico che rubava non andava in galera. Da qualche
tempo a questa parte il politico può andare in galera e questo è da ritenere e
certamente un fatto positivo”.
-
Come mai la Magistratura si sta
muovendo solo adesso? Anche a Formia e nella provincia di Latina sta creando non
pochi problemi ai politici.
“E’ così. Tutti sapevamo e nessuno si
muoveva. A mio avviso ciò è dovuto al fatto che i partiti si sono indeboliti,
è venuta meno quella certa capacità di bloccare i processi, questa capacità
è indebolita ed è una cosa che dobbiamo salutare con speranza”.
-
Quindi questo momento che il Paese
sta attraversando non è di crisi negativa?
“No. E’ una crisi che può portare cose
positive e giuste”.
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