di Carmen Moscariello
L’Indocina ha
indubbiamente segnato la vita di Marguerite Duras, pseudonimo della scrittrice
francese Marguerite Donnadieu, nata per l’appunto a Gia Dinh presso Saigon nel
1914. Quei primi diciotto anni di vita coloniale, trascorsi nei quartieri
degradati e violenti di Saigon hanno segnato in modo eterno anche la sua vita di
scrittrice. Già, infatti il suo romanzo L’Amant (Feltrinelli, 1985) era il
sincero, appassionato, nostalgico ricordo di quegli anni lontani.
Così
adesso con questo nuovo libro titolato L’Amante della Cina del Nord,
animato dagli stessi personaggi raccontati nell’opera citata sopra, la
scrittrice ripropone la stessa storia. La scava, però nei particolari, come se
un’ansia irrefrenabile la obbligasse a meglio precisare e custodire
nell’eterno della memoria i fatti e le emozioni, quasi esse rappresentino
ancora un urlo lacerante della carne. Dal profondo insomma, rivivono tutti gli
attimi di quella passione e il languore ancora invade le cose e i ricordi.
La
stessa Marguerite Duras precisa nella prefazione al libro che è stata proprio
la morte del suo amante cinese (“Ho saputo che era morto da tempo, l’ho
saputo nel maggio del 1990”) a provocarle il bisogno di ripercorrere le strade
di Saigon, la casa color azzurro pallido di Cina, l’attraversamento del Mekong
sul traghetto di Vinh Long.
La
storia è quella di una povera fanciulla, orfana di padre che vive la sua
straziante passione d’amore per un cinese ricco e obbligato dalla volontà
paterna ad osservare le leggi e le tradizioni della sua terra. Accanto al
personaggio principale: la Bambina (così la scrittrice si definisce in tutto il
romanzo) vive il fratello maggiore violento e dedito all’oppio, e ancora un
personaggio interessante è la madre, confusa anch’essa dagli strani sapori
che s’insinuano come la nebbia nella vita della figlia e quasi spinge la
giovane alla prostituzione. Non meno importante la storia del “Fratello
Minore” per il quale la protagonista prova un amore puro di madre e nello
stesso tempo incestuoso e l’apparentemente distratto casuale sentimento che la
lega a Thanh, protagonista anch’egli, eroe sconfitto, al quale il romanzo è
dedicato.
Le
maschere fragili dei personaggi citati si muovono in un’atmosfera
allucinogena: tutto precipita di fronte al destino; irrefrenabili verso la
rovina camminano le cose e gli uomini.
La
pioggia portata dai Monsoni e i canti vietnamiti formano un guscio aleatorio,
dove le vicende umane si snodano senza volontà. La musica, i profumi orientali,
lo stesso oppio nutrono nel romanzo quasi rarefatte occasioni per generare
l’odio e la cattiveria.
Il
languore e l’angoscia impregnano le parole e da esse come un singhiozzo nasce
l’amore tra il Cinese e la Bambina.
La
commedia umana è immersa in una sensualità estenuante, sempre più dirompente:
la situazione appare al lettore come un orologio rotto, un qualcosa che porta
rovina fin dall’inizio. I personaggi con il loro riso largo ne sono
consapevoli e se ne lasciano sopraffare come da un fiume di fango giallo.
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