lunedì 6 agosto 2012

Saggi critici - Marguerite Duras

di Carmen Moscariello

L’Indocina ha indubbiamente segnato la vita di Marguerite Duras, pseudonimo della scrittrice francese Marguerite Donnadieu, nata per l’appunto a Gia Dinh presso Saigon nel 1914. Quei primi diciotto anni di vita coloniale, trascorsi nei quartieri degradati e violenti di Saigon hanno segnato in modo eterno anche la sua vita di scrittrice. Già, infatti il suo romanzo L’Amant (Feltrinelli, 1985) era il sincero, appassionato, nostalgico ricordo di quegli anni lontani.
Così adesso con questo nuovo libro titolato L’Amante della Cina del Nord, animato dagli stessi personaggi raccontati nell’opera citata sopra, la scrittrice ripropone la stessa storia. La scava, però nei particolari, come se un’ansia irrefrenabile la obbligasse a meglio precisare e custodire nell’eterno della memoria i fatti e le emozioni, quasi esse rappresentino ancora un urlo lacerante della carne. Dal profondo insomma, rivivono tutti gli attimi di quella passione e il languore ancora invade le cose e i ricordi.
La stessa Marguerite Duras precisa nella prefazione al libro che è stata proprio la morte del suo amante cinese (“Ho saputo che era morto da tempo, l’ho saputo nel maggio del 1990”) a provocarle il bisogno di ripercorrere le strade di Saigon, la casa color azzurro pallido di Cina, l’attraversamento del Mekong sul traghetto di Vinh Long.
La storia è quella di una povera fanciulla, orfana di padre che vive la sua straziante passione d’amore per un cinese ricco e obbligato dalla volontà paterna ad osservare le leggi e le tradizioni della sua terra. Accanto al personaggio principale: la Bambina (così la scrittrice si definisce in tutto il romanzo) vive il fratello maggiore violento e dedito all’oppio, e ancora un personaggio interessante è la madre, confusa anch’essa dagli strani sapori che s’insinuano come la nebbia nella vita della figlia e quasi spinge la giovane alla prostituzione. Non meno importante la storia del “Fratello Minore” per il quale la protagonista prova un amore puro di madre e nello stesso tempo incestuoso e l’apparentemente distratto casuale sentimento che la lega a Thanh, protagonista anch’egli, eroe sconfitto, al quale il romanzo è dedicato.
Le maschere fragili dei personaggi citati si muovono in un’atmosfera allucinogena: tutto precipita di fronte al destino; irrefrenabili verso la rovina camminano le cose e gli uomini.
La pioggia portata dai Monsoni e i canti vietnamiti formano un guscio aleatorio, dove le vicende umane si snodano senza volontà. La musica, i profumi orientali, lo stesso oppio nutrono nel romanzo quasi rarefatte occasioni per generare l’odio e la cattiveria.
Il languore e l’angoscia impregnano le parole e da esse come un singhiozzo nasce l’amore tra il Cinese e la Bambina.
La commedia umana è immersa in una sensualità estenuante, sempre più dirompente: la situazione appare al lettore come un orologio rotto, un qualcosa che porta rovina fin dall’inizio. I personaggi con il loro riso largo ne sono consapevoli e se ne lasciano sopraffare come da un fiume di fango giallo.

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