venerdì 10 agosto 2012

Saggi critici - Il Dio ignoto nella poesia di Renato Filippelli

di Carmen Moscariello

Se un cristiano si sofferma sulla passione di Cristo non può che piangere per i tormenti che gli inflissero.
Il percorso al Golgota fu lento e doloroso.
Leggere quest’ultima preziosa raccolta del Poeta Renato Filippelli è stato come la cerva del salmo/fiutando sorgenti lontane mi ha stretto il cuore in una morsa  di dolore purificante, strenuo Cche mi diede  conferma ,come dissi in una conferenza a Minturno, che per me la poesia di Filippelli è come il vangelo di Luca.
A ragion veduta, poiché mai come in questi versi si ha   la constatazione di una grande estenuante ricerca dell’uomo nella sua crisi più distruttiva, nella sua luce più fiammeggiante; pur essendo stato Egli sempre sostenitore della Poesia come anima, anche quando il gioco del verseggiare e l’alchimia  della parola approdava ad un prato brinato, Egli  sempre dilaniato,cantava i gemiti della gente del Sud (la sua gente protetta dal manto della Poesia che denunzia).
Ma, qui a guidarci è l’esperienza di Dio , imponderabile soffio, estenuante sussurro, rabbioso urlo: diviene ora un mezzo per dare alla parola un senso divino  che mentre approccia al nulla, tra le nebbie del mare si innalza come croce del firmamento a sottolineare che l’essenza dell’uomo è solo in Dio nel suo splendido annientante desiderio di vivere e morire.
Morire per attraversare il dolore, per lasciarsi indietro quell’esperienza di “figlio” che è  del Poeta che affronta l’ oceano sulla fragile foglia, baciata dalla  rugiada della carità, dall’urgenza del bene che nella Poesia e nella vita di Filippelli si è tradotta nella sua grande opera di educatore, di guida ed aiuto agli artisti  gemmanti,  di sdegnoso giudizio contro la corruzione e la malvagità . Egli ha donato alla nostra terra e al mondo un flusso di civiltà, di mansuetudini, di rispetto per ogni creatura dell’universo, non a caso nella sua poesia anche il suo cane ha una centralità catartica  di struggente solitudine e di amore.
Il Dio di  Filippelli non più creatore, ma soglia agognata, liberazione , preghiera, abbandono, approdo di un uomo non acquietato, ciò che Egli contiene  esplode come lance conficcate nel costato e al padre non implora, ma urla, protesta.
L’altare del dio ignoto non ha fiori  da offrire al divino , ma le infinite tribolazioni di noi sofferenti, dubbiosi, smarriti.
Il vincolo vita-morte diviene così approdo a un ampio e delicato dibattito che si muove in versi modulati al canto della vita, alla disperazione dei giorni , al candido scoprirsi implume come pettirosso appena nato , ma il canto è della buona novella, di un uomo che non si arrende e ricerca e costruisce ciò che rende l’uomo simile a Dio.
 
Sulla mia strada di Damasco
mancò la segnaletica
verso Gerusalemme.Quando
cadevo all’urto
dei Tuoi cavalli un altro si torceva
in me, Ti domandava
aspro e gemente: “Perché mi perseguiti?”
 
Figli che mi portate sulle spalle
come pietoso Enea portò suo padre,
se voi non foste il filo che ricuce
brandelli alla speranza della vita,
mi getterei nel vuoto della valle
come un fantasma in fuga dalla luce

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