di Carmen Moscariello
Se un cristiano si
sofferma sulla passione di Cristo non può che piangere per i tormenti che gli
inflissero.
Il percorso al
Golgota fu lento e doloroso.
Leggere
quest’ultima preziosa raccolta del Poeta Renato Filippelli è stato come la
cerva del salmo/fiutando sorgenti lontane mi ha stretto il cuore in una
morsa di dolore purificante, strenuo
Cche mi diede conferma ,come dissi
in una conferenza a Minturno, che per me la poesia di Filippelli è come il
vangelo di Luca.
A ragion veduta,
poiché mai come in questi versi si ha
la constatazione di una grande estenuante ricerca dell’uomo nella sua
crisi più distruttiva, nella sua luce più fiammeggiante; pur essendo stato
Egli sempre sostenitore della Poesia come anima, anche quando il gioco del
verseggiare e l’alchimia della
parola approdava ad un prato brinato, Egli sempre
dilaniato,cantava i gemiti della gente del Sud (la sua gente protetta dal manto
della Poesia che denunzia).
Ma, qui a guidarci è
l’esperienza di Dio , imponderabile soffio, estenuante sussurro, rabbioso
urlo: diviene ora un mezzo per dare alla parola un senso divino
che mentre approccia al nulla, tra le nebbie del mare si innalza come
croce del firmamento a sottolineare che l’essenza dell’uomo è solo in Dio
nel suo splendido annientante desiderio di vivere e morire.
Morire per
attraversare il dolore, per lasciarsi indietro quell’esperienza di
“figlio” che è del Poeta che
affronta l’ oceano sulla fragile foglia, baciata dalla
rugiada della carità, dall’urgenza del bene che nella Poesia e nella
vita di Filippelli si è tradotta nella sua grande opera di educatore, di guida
ed aiuto agli artisti gemmanti,
di sdegnoso giudizio contro la corruzione e la malvagità . Egli ha
donato alla nostra terra e al mondo un flusso di civiltà, di mansuetudini, di
rispetto per ogni creatura dell’universo, non a caso nella sua poesia anche il
suo cane ha una centralità catartica di
struggente solitudine e di amore.
Il Dio di
Filippelli non più creatore, ma soglia agognata, liberazione ,
preghiera, abbandono, approdo di un uomo non acquietato, ciò che Egli contiene
esplode come lance conficcate nel costato e al padre non implora, ma
urla, protesta.
L’altare del dio
ignoto non ha fiori da offrire al
divino , ma le infinite tribolazioni di noi sofferenti, dubbiosi, smarriti.
Il vincolo vita-morte
diviene così approdo a un ampio e delicato dibattito che si muove in versi
modulati al canto della vita, alla disperazione dei giorni , al candido
scoprirsi implume come pettirosso appena nato , ma il canto è della buona
novella, di un uomo che non si arrende e ricerca e costruisce ciò che rende
l’uomo simile a Dio.
Sulla mia strada di
Damasco
mancò la segnaletica
verso
Gerusalemme.Quando
cadevo all’urto
dei Tuoi cavalli un
altro si torceva
in me, Ti domandava
aspro e gemente:
“Perché mi perseguiti?”
Figli che mi portate sulle spalle
come pietoso Enea
portò suo padre,
se voi non foste il
filo che ricuce
brandelli alla
speranza della vita,
mi getterei nel vuoto
della valle
come
un fantasma in fuga dalla luce
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