giovedì 30 agosto 2012

Stare accanto al malato: istruzioni per l'uso - Barbara Vellucci

Un giorno un amico mi chiede: "Come si sta accanto ad una persona che ha una malattia? Cosa si fa per aiutarla davvero? Perché io me lo chiedo spesso. C'è timore di dire o fare cose sbagliate".
Ho riflettuto molto prima di rispondergli. Io non mi ero mai posta questa domanda. Cosa avrei voluto che gli altri facessero o dicessero in mia presenza? Forse inizialmente non mi sono posta il problema perché non mi ritenevo malata o non così tanto malata al punto di aspettarmi che gli altri assumessero un certo atteggiamento nei miei riguardi.
Senza dubbio la mia prima "richiesta" sarebbe stata quella di essere trattata come se nulla fosse accaduto. Mi sarebbe piaciuto che gli altri avessero continuato a relazionarsi con me fingendo che io non fossi malata. E quindi nessun problema per battute di spirito, nessun timore di dire frasi sbagliate - tanto sarei stata la prima a riderci su -, niente esitazioni su nulla. Ero e restavo sempre io.
Di certo avrei fatto volentieri a meno di sguardi carichi di pietà e compassione. Penso non ci sia nulla di peggiore per una persona malata. Capisco anche, però, che il senso di pietà sia innato di fronte a talune situazioni. Io stessa non ho potuto fare a meno, sia prima sia dopo la malattia, di provare questo sentimento davanti a creature sofferenti. Ho provato grande pietà ma ho risparmiato loro il mio sguardo compassionevole perché loro erano me e io ero loro, guardarle significava guardare me e io non chiedevo né pietà né compassione.
A pensarci bene, però, non ho mai preteso alcun tipo di comportamento nei miei confronti da parte degli altri. Nei periodi in cui stavo più male, se mi capitava di dover prendere un treno e non c'era posto, me ne restavo in piedi; se mi trovavo all'ufficio postale e c'era una lunga coda, attendevo il mio turno con pazienza...
Ho sempre lasciato che gli altri si comportassero come la propria sensibilità personale suggeriva loro. Certo, io li ho aiutati a capire come dovessero relazionarsi con me. Ho fatto comprendere loro che la situazione era tranquilla, che non c'erano precauzioni da adottare, che fossero liberi di fare e dire quello che si sentivano di fare e dire. Non ci sono preparazioni da seguire per avvicinarsi ad una persona malata: la si rispetta, le si dona affetto, la si tratta normalmente.
Solo da una persona avrei preteso di più rispetto a ciò che mi dava. E con questa persona ho sbagliato tutto quanto...

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